mercoledì 31 maggio 2017
Che sia un fenomeno realmente esistente o che sia invece una falsa notizia rimpallata in Rete provocando effetti emulativi, Blue Whale pone una questione che non può essere taciuta o messa da parte
«Blue whale» o meno, rispondiamo al disagio
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Caro direttore,

si è parlato diffusamente in questi giorni di Blue Whale, un presunto rituale assurdo veicolato dal web che porterebbe giovani deboli e in difficoltà, attraverso una serie di prove estreme, al suicidio. Questo stesso giornale se ne è occupato, con attenzione e con prudenza, riportando le notizie di adolescenti, anche italiani, che sarebbero rimasti coinvolti in questo “gioco mortale”, scavando e andando alla radice del disagio.

Che sia un fenomeno realmente esistente o che sia invece una falsa notizia rimpallata in Rete provocando effetti emulativi, Blue Whale pone una questione che non può essere taciuta o messa da parte. L’adolescenza è l’età delle speranze, delle opportunità, della fiducia nel futuro, del divenire. È un’età ricca. E per questo anche disorientante. Genera smarrimento e preoccupazione, soprattutto se le giovani e i giovani che muovono i loro passi in questa fase della vita non trovano punti di riferimento utili a guidarli nel loro cammino di esplorazione di sé e del mondo. Ieri la Società italiana di pediatria ha diffuso dei dati riguardanti un’indagine su circa 10.000 ragazze e ragazzi di età compresa tra i 14 e i 18 anni: otto giovani su dieci sperimentano un disagio, il 15% di loro è arrivato a infliggersi intenzionalmente lesioni per trovare sollievo. Quando vivono una situazione di difficoltà punto fermo sono gli amici, dai quali il 70% di loro riceve aiuto: il mondo adulto è avvertito come distante, non in grado di comprendere il disagio emotivo. Come comunità educante abbiamo una duplice responsabilità: ricostruire e rinsaldare un’alleanza educativa tra tutti i soggetti coinvolti nel percorso di crescita delle giovani e dei giovani (famiglie, comunità scolastica, associazioni, pedagogisti, psicologi, pediatri, assistenti sociali, educatori) e promuovere il protagonismo delle ragazze e dei ragazzi, che sono soggetti attivi di questa alleanza e devono essi stessi avere la possibilità di indagare il loro disagio, dargli voce e trovare risposte adeguate.

È per questo motivo che ho voluto con forza e convinzione istituire al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, un Gruppo di lavoro sull’adolescenza, coordinato dalla Consigliera Anna Serafini. Obiettivo è spingere alla riflessione sulla qualità educativa, partendo da un’analisi dei contesti formativi, dei cambiamenti della società contemporanea e della loro incidenza rispetto alle sfide che ci troviamo a fronteggiare. Da quando abbiamo cominciato, a inizio maggio, ci siamo confrontati con più di 50 interlocutori – famiglie, associazioni, mondo della scuola, professionisti ed esperti – con particolare attenzione alle studentesse e agli studenti, coinvolti nella discussione non quali oggetto di “ricerca”, ma quale parte attiva e dialogante nella definizione di politiche sull’adolescenza. Realizzeremo, su impulso di tutti i soggetti, hackathon tematici, maratone di idee in cui tutte e tutti potranno confrontarsi in maniera franca e costruttiva. Puntiamo a realizzare un “libro bianco” sull’adolescenza, che tenga insieme analisi e proposte di intervento, a fornire risposte di lungo termine ai bisogni e alle esigenze delle giovani e dei giovani, grazie anche all’istituzione di un tavolo permanente, a rinsaldare il rapporto nella comunità educante che si trova ad affrontare questioni sempre più complesse e inedite.

Nella stessa direzione va la Cabina di regia sulla dispersione scolastica, istituita al Miur, alla quale collaborano oltre alla consigliera Serafini anche altri due esperti, Marco Rossi Doria e Enrico Giovannini: combattere la povertà educativa è la base per combattere le altre povertà. Vuol dire intercettare i segnali di disagio e disinnescarli per tempo, promuovendo forme di cittadinanza attiva, garantendo pari opportunità a tutte le studentesse e a tutti gli studenti. Vuol dire renderli avvertiti di fronte a fenomeni di violenza, dentro e fuori la Rete: bullismo, cyberbullismo, fake news (bufale), hatespeech (parole ostili) sono distorsioni, alle volte sottili, che le nuove generazioni devono saper riconoscere. La scuola fa e continuerà a fare la propria parte per accompagnare ragazze e ragazzi in quella fase ricca e fragile, intensa e delicata dell’adolescenza, durante la quale in gioco c’è un’identità in formazione, e in cui massimo è il timore di vedere i propri sogni rimanere tali, mentre la realtà prende un’altra direzione. La scuola, insieme alle famiglie, ai pedagogisti, alle associazioni sociali, a tutti quei soggetti laici e religiosi che hanno a cuore il bene delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, può e deve intercettare il disagio e tramutarlo in occasione di crescita sana. Insieme, mettendo da parte paure e unendo le nostre energie positive, possiamo farcela.

*Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

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