Prodigiosa, maestosa, poggiata su un enorme biscotto. La diga (allora) più alta al mondo la costruirono addosso al Monte toc (che in dialetto significa “pezzo” e in Friuli viene usato per indicare qualcosa di marcio). Con il bacino artificiale ai suoi piedi da 170 milioni di metri cubi d’acqua. Eppure sapevano tutti che quel monte si sbriciola, frana, si muove, e lo sapevano da un pezzo.
Ma in ballo erano troppi soldi e troppi prestigi internazionali, per lasciar perdere il megaprogetto del 'Grande Vajont'. Meglio nascondere dati e previsioni, dar retta a ipotesi approssimative, però ottimistiche. La Sade era potente, faceva collaudi (che scossero e stressarono le pareti del Toc, riempiendo e svuotando il bacino della diga) e dopo chiedeva l’autorizzazione per farli.
Nel 1960 il monte comincia a cedere, frana più volte, il 4 novembre vengono giù duecentomila metri cubi di terra e alzano un’onda anomala di dieci metri. Poca (si fa per dire) roba rispetto al fronte che rischia di crollare, scoperto l’anno prima da Edoardo Semenza, geologo (figlio del progettista della diga, Carlo Semenza): almeno 200mila metri cubi, due chilometri sul fianco del Toc, a forma di “M”, che si distingue abbastanza ancora oggi.
La Sade sembra magari tentennare, ma va avanti, questa diga, alta quasi 267 metri e lunga 190, ha da farsi. Nel novembre 1961 viene inaugurata, il 9 ottobre 1963 l’inferno senza fuoco: 270 milioni di metri cubi di terra si staccano dal Toc, piombano in un minuto nel bacino e cinquanta milioni di metri cubi d’acqua s’impennano verso il cielo, scavalcano la diga, si spezzano in tre onde, la più grande punta a valle, sposta l’aria con la potenza di un’atomica, strappando la pelle di chi è in strada, piomba a terra scavando un cratere profondo quaranta metri, spazza letteralmente via paesi e umanità.
I morti furono ufficialmente 1.910, in realtà oltre 2mila. Solo 726 corpi furono riconosciuti. La diga sessant’anni dopo è ancora lì, appena scalfita dal tempo, i resti ritrovati invece sono nel cimitero monumentale di Fortogna (frazione di Longarone): 1.910 lapidi, nomi spesso a caso, spesso senza corpo.
“Cosa vedono in questa diga? Qualcosa di eccezionale? Ma non è niente, è veramente una cassa da morto, parliamoci chiaro”, spiega Micaela Coletti, presidente del ‘Comitato per i sopravvissuti del Vajont”, che quella sera di sessant’anni fa aveva dodici anni, venne travolta, la ritrovarono sotto terra a mezzo chilometro da casa sua e neppure lei sa come fece a cavarsela, mentre morì tutta la sua famiglia. “Cosa resta oggi del Vajont? - va avanti - Assolutamente niente”.
Ultima annotazione. La ‘Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro del Vajont’ consegnò la sua relazione finale il 15 luglio 1965: “L'esperienza del passato deve servire per il futuro”, si legge all’ultima pagina.