Horgos sorge direttamente sotto le reti metalliche che segnano la frontiera serbo-ungherese ed è lì nelle fattorie abbandonate, nel nord della Serbia al confine con l'Ungheria, che da alcuni giorni si stanno raccogliendo decine e decine di profughi che vogliono provare a raggiungere l'Europa. Tutte le foto di questa gallery sono di Edvard Molnar, EPA/ANSA
Di nazionalità afghana e pachistana, nessuno di loro davanti alle telecamere della tv nazionale ungherese M1 ha voluto dichiarare le proprie generalità. L'unica e ultima speranza che rimane loro è la via illegale. Proprio per questo, molti profughi si affidano ai cosiddetti “smugglers”, spietati trafficanti che, in cambio di cifre esorbitanti, li guidano nelle loro traversate.
Ufficialmente la rotta balcanica è stata chiusa a marzo del 2016. Con l’azione unilaterale di chiusura dei propri confini di diversi Stati europei e, successivamente, con l’accordo siglato tra l’Unione europea e la Turchia. Tuttavia, il corridoio che ha permesso il passaggio di centinaia di migliaia di persone tra il 2015 e il 2016 continua in realtà a essere percorso ogni giorno da centinaia di migranti e rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa. E questo, con rischi maggiori rispetto al recente passato e spesso incontrando la violenza delle autorità locali.
Per dare un’idea complessiva della situazione nei Balcani, basti pensare che secondo i dati presentati a fine febbraio dalla portavoce dell’Acnur in Bosnia Erzegovina Anne-Christine Eriksson, tra i 40.000 e i 50.000 rifugiati si trovano nel territorio compreso tra la Grecia ed il confine croato, in attesa di poter continuare il proprio viaggio verso l’Europa occidentale. Se la maggior parte di questi si trova in Grecia, (11.400 persone si trovano sulle isole dell’Egeo e 18.700 nelle strutture predisposte dallo stesso Alto commissariato sulla terraferma), il resto della penisola assiste a un incremento degli ingressi attraverso le proprie frontiere. (Tutte le foto sono Ansa)