Sembra senza fondo il baratro nel quale ormai da tempo è precipitato lo Zimbabwe. Superata recentemente a fatica la più grave crisi politica degli ultimi anni, con la formazione di un governo di unità nazionale, il Paese africano resta in uno stato di emergenza gravissima. Stando al coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, Agostinho Zacarias, servono urgentemente 719 milioni di dollari in aiuti per portare assistenza a una delle popolazioni più disastrate al mondo. Negli ultimi mesi i Paesi donatori hanno inviato ad Harare 250 milioni, poco più di un terzo della somma necessaria per soddisfare i bisogni di un popolo allo stremo. L’Onu sottolinea che oltre metà dei 12 milioni di abitanti del Paese africano necessiterà quest’anno di aiuti alimentari. Attualmente sei milioni di persone in Zimbabwe non hanno accesso all’acqua potabile, e 44mila bambini hanno bisogno di cure contro la malnutrizione acuta. «È necessario che tutti i donatori rafforzino il loro sostegno finanziario», ha fatto appello il rappresentante dell’Onu. Proprio ieri la Commissione europea ha annunciato l’invio di altri 8 milioni di euro in aiuti. Non basteranno, evidentemente. Le strutture sanitarie, che continuano a soffrire di mancanza di personale e di risorse, sono tra quelle più colpite dalla grave crisi economica. L’emergenza di colera scoppiata dieci mesi fa non accenna a diminuire. Il numero dei morti ha toccato quota 4.283, ma i contagiati dall’epidemia sono ben 100mila.Sono dati impressionanti, e sui quali si innestano le continue tensioni tra il partito Zanu-pf del presidente Robert Mugabe e il Movimento per il cambiamento democratico (Mdc) del premier Morgan Tsvangirai. Lo stesso primo ministro ha ammesso che i progressi nelle riforme vanno a rilento: «Sono i limiti che derivano da un matrimonio di convenienza», ha detto Tsvangirai, sottolineando come proprio questa lentezza spaventi anche i potenziali investitori. Nel mirino dell’Mdc, che ne chiede le dimissioni, sono finiti il capo della Banca centrale Gideon Gono e il Procuratore generale Johannes Tomana, entrambi alleati di Mugabe. A loro vengono addebitati la super-inflazione che attanaglia il Paese e la campagna di abusi ai danni di attivisti dell’opposizione. Per dotare il Paese delle necessarie infrastrutture e per ravvivare l’economia il governo stima un bisogno di 8,5 miliardi di dollari. E, secondo Tsvangirai, il solo settore delle estrazioni minerarie – platino, oro, rame, carbone – potrebbe attrarre nel prossimo decennio tra i 6 e i 16 miliardi di dollari. Ma sono investimenti che resteranno sulla carta fino a quando il Paese resterà avvitato sulla sua precaria situazione politica. Mentre la crisi umanitaria che si consuma ad Harare è tremendamente attuale e necessita di interventi urgenti.Chi può cerca di fuggire verso il Sudafrica, visto come una sorta di splendente Eldorado. In realtà decine di migliaia di persone emigrate dallo Zimbabwe sono spesso esposte, una volta attraversata la frontiera, a violenze, abusi sessuali, condizioni di vita altrettanto inaccettabili. A certificarlo una volta di più, in un rapporto diffuso ieri, è Medici senza frontiere (Msf). «Invece di trovare il rifugio che cercano disperatamente, per molti immigrati la sofferenza continua – ha sottolineato Rachel Cohen, capo missione di Msf in Sudafrica – Ogni giorno le nostre squadre sono testimoni del fallimento del governo del Sudafrica, ma anche delle agenzie delle Nazioni Unite, nel rispondere ai bisogni medici e umanitari di base dei cittadini vulnerabili dello Zimbabwe».