venerdì 22 agosto 2014
L'Isis chiese 100 milioni di dollari. Il Pentagono: dobbiamo essere pronti a tutto.
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Doveva essere un’operazione chirurgica, ordinata da Barack Obama in persona, così come era accaduto per il blitz ad Abbottabad in Pakistan. Lì bisognava colpire Osama Binladen. Qui bisognava salvare la vita del reporter James Foley e di altri ostaggi americani. Lì il teatro dell’operazione era il Pakistan, in questo caso la Siria, in quella che è stata la prima azione di terra delle forze speciali a stelle e strisce in territorio siriano. Ma l’esito è stato diverso. «Gli ostaggi non erano presenti nel luogo preso di mira». E gli Usa, come ha fatto sapere il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, si «aspettano nuovi attacchi. Dobbiamo essere pronti a tutto»: «Quella in Iraq è una strategia a lungo termine e il coinvolgimento Usa non è finito». E il leader siriano «Assad è parte centrale dei problemi della regione». È stato il Pentagono ad ammettere la missione, dopo la fuga di notizia su diversi organi di informazione. «Gli Usa di recente hanno condotto un’operazione per liberare ostaggi americani detenuti in Siria» dall’Isis, ha fatto sapere l’ammiraglio John Kirby, portavoce del dipartimento della Difesa. All’operazione hanno partecipato forze aeree e terrestri, arrivati a bordo di elicotteri Black Hawk modificati e pesantemente armati, con la copertura aerea di cacciabombardieri. Kirby non ha fornito altri dettagli, ma secondo quanto hanno detto alti funzionari dell’amministrazione citati dal Washington Post, all’operazione hanno partecipato decine di militari delle forze speciali, di quasi ogni arma, ed uno di loro è rimasto ferito nel corso di una feroce battaglia con i miliziani dell’Isis. Altre fonti di stampa affermano che il blitz è scattato il quattro luglio e che almeno cinque miliziani sono rimasti uccisi. Il blitz, hanno detto le fonti del Post, è stato tentato «questa estate», dopo che almeno sei ostaggi occidentali erano stati liberati dai militanti islamici ed erano stati contattati e interrogati dall’intelligence Usa. «Il presidente ha autorizzato all’inizio dell’estate una operazione per tentare di liberare cittadini americani detenuti dall’Isis», ha detto un alto funzionario, aggiungendo che «avevamo una serie di informazioni di intelligence sufficienti per metterci in condizione di agire». I militari si sono mossi quindi «in modo davvero aggressivo e davvero veloce, ma purtroppo non l’operazione non ha infine avuto successo perché gli ostaggi non erano detenuti nel sito dell’operazione». Ma non basta. Ci sarebbe stati dei contatti con i rapitori del reporter. Un canale attraverso il quale i miliziani dell’Isis avrebbe chiesto un riscatto per la vita di Foley. Cento milioni di dollari. Richiesta rispedita al mittente. A scriverlo è stato il Wall Street Journal, che ha raccolto la testimonianza di Phil Balboni, l’editore del Global Post, la testata presso la quale lavorava il giovarne freelance. Washington non tratta la liberazione di ostaggi e negli Usa oggi è polemica anche perché,secondo il New York Times, altri tre americani rischiano la vita. Uno di questi il proprio il freelance Stephen Sotloff, ripreso nel video della decapitazione. «Spero che facciano di più per Stephen. Si può fare di più. La strada è indicata da altre nazioni», ha detto Michael, il fratello di James. Per organizzazioni come l’Isis o al-Qaeda, catturare ostaggi è un business lucroso: la rete di Osama Binladen in cinque anni ha incassato 125 milioni di dollari, 66 solo nel 2013, secondo una stima del New York Times. È salito a dismisura il tariffario: nel 2000 la media di un riscatto era di 200 mila dollari, oggi cresciuto a parecchi milioni per ostaggio. Intanto le indagini si appuntano sull’uomo che compare nel video, impugnando il coltello, della decapitazione di Foley. Secondo gli esperti dell’antiterrorismo britannico, che si sono avvalsi anche dell’ausilio di esperti di linguistica e di accenti, l’uomo identificato come John proverrebbe dall’est di Londra, l’area più multietnica della capitale. «Si tratta di lingua inglese multiculturale, una nuova forma di dialetto cockney, tipico dell’est londinese, con basi di lingue straniere», ha detto al Guardian Paul Kerswill, esperto di linguistica e professore all’Università di York. Secondo il quotidiano l’uomo farebbe «parte di un gruppo di tre britannici che controllano ostaggi stranieri in Siria». Un ex prigioniero avrebbe identificato il terrorista, qualificandolo come «John» come il capo di un’organizzazione che, all’inizio del 2014, liberò undici persone, compresa la fonte delle notizie, dopo intense trattative, undici ostaggi che furono poi consegnati alle autorità turche. Sempre secondo le informazioni ottenute dal Guardian il gruppo opererebbe a Raqqa e sarebbe composto da «persone ben istruite e devote agli insegnamenti radicali islamici». La fonte del Guardian ha anche rivelato come il gruppo dei terroristi britannici venga chiamato «il gruppo dei Beatles» dagli ostaggi, proprio per la nazionalità dei jihadisti.
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