venerdì 12 novembre 2021
La denuncia del cardinale Soane Patita Paini Mafi, vescovo di Tonga e Niue: «La terra che molti hanno chiamato casa per generazioni non è più sicura da vivere»
Il cardinale Soane Patita Paini Mafi

Il cardinale Soane Patita Paini Mafi - Archivio Siciliani

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Nella classifica del World Risk Index del 2020 l’arcipelago di Tonga, gioiello naturalistico della Polinesia con 173 isole e isolotti, è il secondo Paese al mondo più esposto al rischio dei disastri causati dal cambiamento climatico. Il primo è Vanuatu, altra perla dell’Oceano Pacifico. Il cardinale Soane Patita Paini Mafi, vescovo di Tonga e Niue, nonché presidente di Caritas Oceania, ha portato alla Conferenza Onu sul clima di Glasgow (Cop26), anche per tramite di Caritas Internationalis, il grido di aiuto della sua gente. Tempeste, cicloni, inondazioni e erosioni costiere: «La popolazione – spiega – si sta da tempo adattando a questi eventi estremi». Ma la realtà, puntualizza, «è che la terra che molti hanno chiamato casa per generazioni non è più sicura da vivere».

Cosa chiede la Chiesa dell’Oceania ai leader mondiali riuniti a Glasgow?
La nostra richiesta è semplice: ascolto. Vogliamo che i capi di governo di tutto il mondo prestino attenzione a quello che i giovani, gli anziani, gli indigeni e le popolazioni locali hanno da dire perché, loro, conoscono bene il posto in cui vivono. Che vengano coinvolti nel processo decisionale e nell’attuazione dei piani proposti. Che prendano in considerazione l’allarme della scienza sullo stato di salute del Pianeta. Che ascoltino la Terra.

Come la Chiesa Cattolica sta lavorando in Oceania sul fronte della Laudato si’?
Nella nostra Regione si sta facendo molto, in particolare attraverso i membri della Caritas Oceania. La comunità di Tonga, per esempio, sta collaborando con la Gioventù Diocesana per prevenire ulteriori danni ambientali, per promuovere la giustizia ecologica e la tutela del creato, per supportare le iniziative di adattamento climatico basate sull’osservazione della natura che arrivano dalla popolazione locale. A questo sforzo si aggiunge quello a rafforzare la resilienza delle comunità più esposte alle catastrofi naturali con attività di previsione e gestione del rischio. Predisponendo forniture di emergenza e addestramento nella popolazione possiamo per lo meno provare a limitare le conseguenze devastanti che sono sotto gli occhi di tutti e a sostenere un rapido recupero.

Come la gente percepisce questa situazione?
La popolazione dell’Oceania sta vivendo, oggi, il cambiamento climatico insieme alla crisi causata dalla pandemia di Covid-19. Una doppia emergenza, la definirei, esasperata anche dall’interruzione delle catene di approvvigionamento e dai programmi regionali di migrazione temporanea. Il risultato è che le disuguaglianze già esistenti risultano esacerbate. L’impatto è sproporzionato a danno delle persone più vulnerabili, quelle a rischio emarginazione e povertà. Siamo profondamente preoccupanti in particolare per le donne e le bambine alla luce dell’aumento della violenza di genere durante i lockdown e del bisogno di maggiore protezione dai disastri. Come Chiesa abbiamo un ruolo chiave nell’affrontare queste sfide.

Cosa l’Oceania si aspetta da Cop26?
Il Pacifico non sta ottenendo i finanziamenti previsti. I processi decisionali sono lunghi e macchinosi. Eppure, la necessità di adattamento e mitigazione è più urgente che mai. Con una rappresentanza limitata del Pacifico al vertice, temiamo che ancora una volta la voce della nostra gente rimanga inascoltata.

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