Agenti dei servizi ucraini perquisiscono il monastero delle Grotte a Kiev, il 22 novembre - Reuters
L’accusa è quella di aver trasformato le chiese o i monasteri dell’Ucraina in «cellule della propaganda russa». Sono dieci i nomi di vescovi e sacerdoti inseriti nella “lista nera” dei collaborazionisti firmata dal presidente Zelensky. Tutti della Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca. La decisione è arrivata nel giorno della condanna a 12 anni di carcere al prete capo della Chiesa ortodossa russa di Lysychansk con l’accusa di aver fornito informazioni a Mosca sugli spostamenti delle truppe di Kiev.
La principale comunità religiosa del Paese è da settimane al centro di perquisizioni e indagini dell’Sbu, il servizio segreto ucraino, che imputa a una parte della Chiesa ortodossa in Ucraina di essere una sorta di “infiltrato” di Mosca. E di far fatto degli abiti talari una copertura per gli 007 del Cremlino nel territorio aggredito.
I dieci sospettati di «attività sovversive» sono figure di spicco nel panorama ecclesiastico del Paese che svolgono o hanno svolto il loro ministero nelle zone conquistate dai militari russi. Ci sono i metropoliti di Simferopoli e Crimea, Shvets Rostislav Pylypovich, di Teodosia e Kerch, Udovenko Volodymyr Petrovych, ossia di zone che guardano verso il mar Nero; e poi il metropolita di Izyum e Kupyansk, Oleg Oleksandrovich Ivanov, città rimaste in mano russa fino a settembre; il metropolita di Buryn, Oleksii Oleksandrovich Maslenikov, distretto a nord della capitale che l’esercito russo ha controllato nel primo mese di conflitto. E ancora quattro vescovi e un prete. E soprattutto Petro Dmytrovych Lebid, alla guida delle diocesi di Vyshgorod e Chernobyl, nella regione di Kiev, e vicario della Santa Dormizione nel monastero delle Grotte, cuore del monachesimo ortodosso nel centro della capitale. Secondo i servizi di sicurezza, la maggior parte di loro si trova ancora nelle aree occupate oppure all’estero. Identici i capi d’imputazione: aver «collaborato con le autorità di occupazione», «promuovere narrazioni filo-russe» della guerra, aver «giustificato l’aggressione militare». Nei loro confronti è stato disposto il blocco dei beni insieme con una serie di restrizioni economiche.
La lista di proscrizione, con le sanzioni stabilite dal Consiglio di sicurezza nazionale, segue di pochi giorni l’inizio dell’iter legislativo per mettere al bando in Ucraina la Chiesa ortodossa che ha le sue origini a Mosca. Un percorso accompagnato da ripetuti blitz nei luoghi di culto per contrastare le «attività illegali a scapito della sovranità statale». Azioni di «controspionaggio» che, ripetono le autorità nazionali di fronte a certi timori interni e alle perplessità internazionali sulla libertà fondamentale di religione, rispettano il «principio di imparzialità nei confronti di qualsiasi denominazione religiosa come definito dalla Costituzione».
L’Sbu racconta nei suoi rapporti il volto di una «Chiesa piegata a Mosca». Gli agenti parlano di testi con «insegnamenti sul satanismo» e «simboli nazisti» riferiti all’Ucraina scoperti all’ombra dei campanili nelle regioni di Transcarpazia, Rivne e Zhytomyr. Spiegano che all’interno del monastero di San Nicola nel distretto di Khust si trovavano «opuscoli che lodavano gli invasori russi». Fanno sapere che nelle chiese sono venuti alla luce «volumi di letteratura filo-russa e milioni in contanti». Nel mirino il Seminario di Pochaev, l’eparchia di Ivano-Frankivsk e le suore di un monastero in Transcarpazia che invocavano «il risveglio della Madre Russia».