Un’unica moneta europea, o quasi. E quando un solo esercito? Se ne parlava già negli anni Cinquanta, all’epoca del progetto di Comunità europea della Difesa, il primo e fatale insuccesso continentale in materia. Eppure, da qualche mese, alcune cancellerie paiono di nuovo sedotte dal vecchio sogno, come hanno mostrato tante dichiarazioni rilasciate durante la scorsa presidenza francese dell’Unione. Certo, la crisi economica ha finito per polarizzare gli sforzi profusi da Parigi. Ma il mondo militare non è rimasto insensibile alle varie iniziative sulla Difesa lanciate lo stesso nel sottobosco di riunioni tecniche del semestre. Una fra tutte, l’"Erasmus militare". Il timone europeo è passato di mano, ma il presidente Nicolas Sarkozy non rinuncia alla propria scommessa europeista: fare della Difesa il prossimo 'anello' dell’integrazione continentale. Lo scorso 5 febbraio, il capo dell’Eliseo ha trovato nella cancelliera Angela Merkel un’alleata ideale per tornare alla carica, grazie a una dichiarazione congiunta alla vigilia della riunione di Monaco sulla strategia militare europea: "Una politica di sicurezza concertata è assolutamente necessaria. Per noi, è chiaro che la nostra politica di sicurezza deve essere definita in modo più largo'. Parigi e Berlino parlano di nuova 'missione comune' dell’Unione, ma anche l’Italia resta sensibile a un rafforzamento dei legami militari europei, già sul fronte delle missioni internazionali. Lo si è visto ancora una volta martedì nel corso del vertice italo-francese, con l’annuncio dopo l’incontro BerlusconiSarkozy d’imminenti truppe congiunte dei due Paesi in Libano. Eppure, nel complesso, la scommessa dell’'Eurodifesa' resta azzardata. I 27 eserciti europei totalizzano oggi circa 2 milioni di soldati, 10 mila mezzi blindati, 2500 caccia da combattimento. Il sistema costa in tutto oltre 200 miliardi di euro l’anno, ma sull’efficacia d’insieme della macchina di Difesa continentale gli esperti restano severi. Circa il 70% di queste risorse non sarebbe idoneo a varcare le frontiere dei rispettivi Stati e le istituzioni europee del settore, intanto, restano in sordina. Creata nel 2004 per coordinare le industrie militari nazionali, l’Agenzia europea di Difesa attende un autentico decollo. Quanto all’Assemblea dell’Unione dell’Europa occidentale, basata a Parigi e risalente al lontano 1954, è stata col tempo vieppiù depotenziata. Nei fatti, le reali capacità di Difesa integrata del continente restano perlopiù a carico della Nato: una configurazione 'atlantista' che Londra, secondo un’analisi ricorrente, avrebbe da sempre difeso a denti stretti. Il quartier generale militare della Nato (Shape, basato in Belgio) impiega oggi 2600 persone, mentre l’attuale germe del 'futuro' quartier generale della Difesa europea conta, sulla carta, appena 8 ufficiali a tempo pieno. Eppure, in un certo senso, i prototipi di un futuro esercito europeo esistono già. Dopo il lancio nel 1998 della Politica europea di sicurezza e di difesa (Pesd), le missioni europee di mantenimento della pace dispiegate nel mondo hanno già permesso a soldati di tutto il continente di operare fianco a fianco. E in queste missioni esterne, le truppe europee si sono ritrovate talora sprovviste dell’ombrello dell’Onu o della Nato, soprattutto in Africa. Tecnicamente, l’Europa dispone dunque di una 'difesa di proiezione': i 27 sono in grado d’intervenire assieme fuori dal territorio europeo, in teoria anche per prevenire o contenere una minaccia nascente alle porte dell’Unione. Ma da qui a una difesa comune vera e propria, il passo resta delicato. Per ribadire che l’'euroesercito' non è più un’utopia, la Francia ha appena deciso simbolicamente di accogliere in modo permanente un battaglione tedesco sul proprio territorio. Probabilmente in Alsazia o in Lorena, ovvero le regioni per secoli al centro dell’odio franco-tedesco: il vecchio cuore malato nel torace del continente. Sul fronte navale, diversi esperimenti di coordinamento sono già in corso, con l’Italia quasi sempre in prima linea. Da qualche anno, le esercitazioni comuni s’intensificano, soprattutto nel Mediterraneo, anche se la prospettiva di una portaerei europea condivisa resta per il momento lontana. Esiste solo un’ipotesi allo studio lungo l’asse Parigi-Londra. Ben più concreta, in effetti, pare la possibilità di condividere presto stormi di elicotteri o di A-400 M, i futuri aerei da trasporto strategico europei. Sono già interessati una decina di Paesi, fra cui l’Italia. E la crisi economica potrebbe accelerare le sinergie multinazionali di questo genere. Se si scende poi al livello delle cooperazioni già attive fra due o tre Stati, gli esempi collaudati non mancano, come nel ca- so della Forza anfibia italo-spagnola. Più che tecnico, in generale, lo scoglio resta politico. E in proposito, il ritorno annunciato della Francia nelle strutture militari integrate della Nato potrebbe cambiare le carte in tavola. Correggendo la storica e fiera linea d’autonomia risalente al generale De Gaulle, Sarkozy starebbe cercando anche di appianare le divergenze strategiche che separano le due rive della Manica dotate entrambe di capacità nucleari: una premessa necessaria in vista della futura Difesa europea. Ma un’altra novità potrebbe risultare ancor più decisiva. Da circa un anno, Washington riconosce apertamente la prospettiva di una Difesa europea 'autonoma' in termini decisionali, oltre che 'più forte e più potente'. Il prossimo banco di prova dovrebbe giungere con l’agognata entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che prevede l’accelerazione della cooperazione militare anche attraverso 'gruppi di Paesi pionieri'. Sarà davvero l’alba della Difesa comune?