venerdì 27 febbraio 2009
L’idea ha più di cinquant’anni. Ma da qualche mese le cancellerie continentali si stanno muovendo con maggiore decisione Qualche assaggio di intervento concordato si è già avuto, soprattutto in Africa. E da Washington si guarda con interesse alla crescita di un alleato che sgraverebbe l’impegno americano nella Nato Nei giorni scorsi l’annuncio di Sarkozy e Berlusconi sull’invio di truppe congiunte in Libano. E l’assenso della Merkel al progetto di una politica di sicurezza concertata I precedenti delle missioni fuori dai confini dell’Unione e gli esperimenti di coordinamento sul fronte navale
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Un’unica moneta europea, o quasi. E quando un solo esercito? Se ne parlava già negli an­ni Cinquanta, all’epoca del progetto di Co­munità europea della Difesa, il primo e fatale in­successo continentale in materia. Eppure, da qual­che mese, alcune cancellerie paiono di nuovo se­dotte dal vecchio sogno, come hanno mostrato tan­te dichiarazioni rilasciate durante la scorsa presi­denza francese dell’Unione. Certo, la crisi econo­mica ha finito per polarizzare gli sforzi profusi da Pa­rigi. Ma il mondo militare non è rimasto insensibi­le alle varie iniziative sulla Difesa lanciate lo stesso nel sottobosco di riunioni tecniche del semestre. U­na fra tutte, l’"Erasmus militare". Il timone europeo è passato di mano, ma il presi­dente Nicolas Sarkozy non rinuncia alla propria scommessa europeista: fare della Difesa il prossi­mo 'anello' dell’integrazione continentale. Lo scor­so 5 febbraio, il capo dell’Eliseo ha trovato nella cancelliera Angela Merkel un’alleata ideale per tor­nare alla carica, grazie a una dichiarazione con­giunta alla vigilia della riunione di Monaco sulla strategia militare europea: "Una politica di sicu­rezza concertata è assolutamente necessaria. Per noi, è chiaro che la nostra politica di sicurezza de­ve essere definita in modo più largo'. Parigi e Ber­lino parlano di nuova 'missione comune' dell’U­nione, ma anche l’Italia resta sensibile a un raffor­zamento dei legami militari europei, già sul fronte delle missioni internazionali. Lo si è visto ancora u­na volta martedì nel corso del vertice italo-france­se, con l’annuncio dopo l’incontro Berlusconi­Sarkozy d’imminenti truppe congiunte dei due Pae­si in Libano. Eppure, nel complesso, la scommes­sa dell’'Eurodifesa' resta azzardata. I 27 eserciti europei totalizzano oggi circa 2 milioni di soldati, 10 mila mezzi blindati, 2500 caccia da combattimento. Il sistema costa in tutto oltre 200 mi­liardi di euro l’anno, ma sull’efficacia d’insieme del­la macchina di Difesa continentale gli esperti re­stano severi. Circa il 70% di queste risorse non sa­rebbe idoneo a varcare le frontiere dei rispettivi Sta­ti e le istituzioni europee del settore, intanto, resta­no in sordina. Creata nel 2004 per coordinare le in­dustrie militari nazionali, l’Agenzia europea di Di­fesa attende un autentico decollo. Quanto all’As­semblea dell’Unione dell’Europa occidentale, ba­sata a Parigi e risalente al lontano 1954, è stata col tempo vieppiù depotenziata. Nei fatti, le reali capacità di Difesa integrata del con­tinente restano perlopiù a carico della Nato: una configurazione 'atlantista' che Londra, secondo un’analisi ricorrente, avrebbe da sempre difeso a denti stretti. Il quartier generale militare della Nato (Shape, basato in Belgio) impiega oggi 2600 perso­ne, mentre l’attuale germe del 'futuro' quartier ge­nerale della Difesa europea conta, sulla carta, ap­pena 8 ufficiali a tempo pieno. Eppure, in un certo senso, i prototipi di un futuro e­sercito europeo esistono già. Dopo il lancio nel 1998 della Politica europea di sicurezza e di difesa (Pesd), le missioni europee di mantenimento della pace di­spiegate nel mondo hanno già permesso a soldati di tutto il continente di operare fianco a fianco. E in queste missioni esterne, le truppe europee si sono ritrovate talora sprovviste dell’ombrello dell’Onu o della Nato, soprattutto in Africa. Tecnicamente, l’Eu­ropa dispone dunque di una 'difesa di proiezione': i 27 sono in grado d’intervenire assieme fuori dal territorio europeo, in teoria anche per prevenire o contenere una minaccia nascente alle porte dell’U­nione. Ma da qui a una difesa comune vera e pro­pria, il passo resta delicato. Per ribadire che l’'euroesercito' non è più un’uto­pia, la Francia ha appena deciso simbolicamente di accogliere in modo permanente un battaglione te­desco sul proprio territorio. Probabilmente in Alsa­zia o in Lorena, ovvero le regioni per secoli al cen­tro dell’odio franco-tedesco: il vecchio cuore mala­to nel torace del continente. Sul fronte navale, diversi esperimenti di coordina­mento sono già in corso, con l’Italia quasi sempre in prima linea. Da qualche anno, le esercitazioni co­muni s’intensificano, soprattutto nel Mediterraneo, anche se la prospettiva di una portaerei europea condivisa resta per il momento lontana. Esiste so­lo un’ipotesi allo studio lungo l’asse Parigi-Londra. Ben più concreta, in effetti, pare la possibilità di con­dividere presto stormi di elicotteri o di A-400 M, i fu­turi aerei da trasporto strategico europei. Sono già interessati una decina di Paesi, fra cui l’Italia. E la cri­si economica potrebbe accelerare le sinergie mul­tinazionali di questo genere. Se si scende poi al li­vello delle cooperazioni già attive fra due o tre Sta­ti, gli esempi collaudati non mancano, come nel ca- so della Forza anfibia italo-spagnola. Più che tecnico, in generale, lo scoglio resta politi­co. E in proposito, il ritorno annunciato della Fran­cia nelle strutture militari integrate della Nato po­trebbe cambiare le carte in tavola. Correggendo la storica e fiera linea d’autonomia risalente al gene­rale De Gaulle, Sarkozy starebbe cercando anche di appianare le divergenze strategiche che separano le due rive della Manica do­tate entrambe di capacità nucleari: una premessa necessaria in vista della futura Difesa europea. Ma un’altra novità po­trebbe risultare ancor più decisiva. Da circa un anno, Washington riconosce apertamen­te la prospettiva di una Difesa europea 'autono­ma' in termini decisionali, oltre che 'più forte e più poten­te'. Il prossimo banco di prova do­vrebbe giungere con l’agognata entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che prevede l’accelera­zione della cooperazione milita­re anche attraverso 'gruppi di Paesi pionieri'. Sarà davvero l’alba della Difesa comune?
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