Che le preferenze degli elettori cattolici siano un forte indicatore di chi sarà il prossimo presidente americano non è nuovo. Quest’anno, però, la loro scelta sarà ancora più determinante. Per la prima volta da almeno cinque elezioni, infatti, l’elettorato cattolico appare spaccato a metà: equamente distribuito fra i simpatizzanti di Barack Obama e quelli di Mitt Romney. Questa sì, è una novità, data la tendenza cattolica ad identificarsi con il partito democratico. Secondo un sondaggio Gallup i cattolici americani oggi voterebbero al 46% per il presidente in carica e al 46% per lo sfidante repubblicano. È probabilmente il risultato della forte attenzione riservata negli ultimi mesi dai candidati repubblicani alla difesa della vita, in contrasto con la decisione dell’Amministrazione democratica di imporre alle associazioni religiose la copertura sanitaria di aborto e contraccezione. Quanto sia cruciale per entrambi i candidati corteggiare l’elettorato cattolico lo dimostra la storia. Nelle ultime cinque tornate presidenziali, tranne una, chi ha conquistato il voto cattolico è automaticamente approdato alla Casa Bianca. L’unica eccezione non è una vera eccezione: nel 2000 Al Gore si aggiudicò il voto cattolico con un vantaggio del 2% e il voto popolare con un più 0,5%, ma George Bush vinse la presidenza, solo dopo l’intervento della Corte suprema. Nel 2008, Obama ha avuto il nove per cento in più tra i cattolici del rivale John McCain.Non a caso il presidente punta molto sulle sue posizioni in favore dell’immigrazione e in difesa dei poveri per posizionarsi maggiormente in linea con la dottrina sociale della Chiesa. E ieri ha invitato alla Casa Bianca per una celebrazione del “Cinco de mayo” un gruppo di elettori di origine latino-americana: il gruppo cattolico in più forte crescita che Obama segue scrupolosamente da anni (grazie anche a un’ambasciatrice nota come l’attrice Eva Longoria, una delle “casalinghe disperate”). Al contrario, il candidato del Grand Old Party sembra avere grossi problemi con i “latinos”. A un anno dalla sua discesa in campo, l’ex governatore del Massachusetts (non certo uno Stato di frontiera) non ha ancora una versione in spagnolo del suo sito Web, né un portavoce che parli spagnolo. E sinora non ha rilasciato interviste a nessuno dei tantissimi media ispanici negli Usa, molto seguiti dalla comunità di immigranti più numerosa d’America. Il testa a testa fra lo sfidante repubblicano e il presidente democratico non è però limitato al mondo cattolico. Anche negli Stati chiave i due candidati sono alla pari, anche se Romney sta conquistando terreno in Florida e Ohio. Secondo un nuovo sondaggio dell’istituto Quinnipiac, infatti il miliardario mormone si aggiudica oggi il 44% delle preferenze e Obama il 43% in Florida, mentre Obama è al 44% in Ohio e Romney al 42%. Il presidente mantiene però il suo vantaggio – il 47% contro il 39% dell’avversario – nella rurale e industriale (e depressa) Pennsylvania. Un mese fa Obama era in testa in tutti e tre gli Stati, e nessun candidato presidenziale ha mai vinto la Casa Bianca dal 1960 ad oggi senza prima trionfare in almeno due di questi tre Stati.Per questo Obama domani stesso lancerà ufficialmente la sua corsa per rimanere alla Casa Bianca per altri 4 anni con due comizi in due Stati decisivi per la vittoria finale, la Virginia e l’Ohio, dove inaugurerà il suo nuovo slogan elettorale, «Forward» (Avanti), che accompagnerà la sua sfida per la rielezione.