Per sconfiggere i jihadisti dello
Stato Islamico in Iraq e nel Levante, il famigerato Isis, é
necessario affrontarli anche in Siria. E di fatto, collaborare,
in una certa misura, con Bashar al Assad.
Nessuno lo dice così apertamente negli Stati Uniti, ma dopo
le prime ammissioni in questo senso del Pentagono, ieri sera,
oggi è la Casa Bianca, attraverso Ben Rhodes, il vice
consigliere per la sicurezza nazionale ad affrontare il tema.
Rhodes, rispondendo ad una domanda su un eventuale attacco
contro i jihadisti in Siria, non ha escluso nulla, affermando
che "valuteremo cosa sia necessario nel lungo termine per
assicurarci di proteggere gli americani".
Lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante è "
un cancro che va
estirpato", aveva detto nei giorni scorsi il presidente Usa
Barack Obama, ma specie dopo la barbarica decapitazione di James
Foley, negli Usa sono aumentate le critiche alla sua strategia,
che con limitati raid in Iraq appariva mirare solo al
'contenimentò.
È ovvio che collaborare con Assad è una prospettiva
improponibile, così come quella di inviare forze americane nel
mattatoio siriano, dove secondo quanto ha reso noto oggi l'Onu,
dall'inizio della guerra civile tre anni e mezzo fa sono state
uccise almeno 191 mila persone.
Ma l'Isis va "ben oltre ogni altro gruppo terroristico visto
finora" e rappresenta "una minaccia a lungo termine", ha
affermato il segretario alla difesa Chuck Hagel, aggiungendo che
"tutte le opzioni" sono sul tavolo per affrontarlo.
Si tratta di una organizzazione che "
può essere contenuta, ma
non all'infinito", ha affermato a sua volta il capo di stato
maggiore interforze, il generale Martin Dempsey. "Senza
affrontarne il ramo in Siria può essere sconfitta? la risposta
è no", ha quindi aggiunto secco Dempsey, che a suo tempo si era
mostrato alquanto cauto nei confronti della prospettiva dei raid
aerei Usa contro il regime di Assad accusato di aver usato armi
chimiche contro il suo stesso popolo. L'Isis, ha detto, deve
essere affrontato "da entrambe le parti di quella che ormai è
la frontiera inesistente" tra Iraq e Siria.
E anche oltremanica sembra esserci un orientamento in tal
senso, anche a costo di dover 'dialogarè con Assad, che certo
sarebbe ben felice di guadagnarsi le stellette di 'combattente
della lotta al terrorismo globalè.
Tra gli altri, ne ha parlato in maniera esplicita l'ex
capo di stato maggiore dell'esercito britannico Lord Dannatt,
secondo il quale "se si deciderà per raid aerei sulla Siria,
bisognerà avere l'approvazione di Assad". E in tal senso ha
citato il vecchio adagio secondo cui "il nemico del mio nemico
è mio amico".Sostanzialmente,
si tratta di valutare le
priorità. Anche l'ex ministro degli Esteri Malcolm Rifkind
affermato che gli Usa i suoi alleati devono essere pronti a
lavorare con Assad se vogliono sconfiggere l'Isis. Si tratta di
un gruppo che "deve essere eliminato e non dovremmo essere
schizzinosi sul come lo facciamo". ha affermato.
Parole che hanno infine indotto il governo di Londra a
precisare che non esiste alcuna possibilità di "lavorare con
Assad", perchè, come ha detto il ministro degli esteri Philip
Hammond, non sarebbe "pratico, sensato o utile".
Anche l'amministrazione Usa respinge con forza ogni ipotesi
di una qualsiasi forma di 'sinergià con Assad. "Sono fortemente
in disaccordo con l'idea che siamo sulla stessa pagina", ha
detto la portavoce del Dipartimento di Stato Marie Harf, secondo
la quale "l'Isis è ciò che é proprio perché il regime siriano
ha gli consentito di svilupparsi". Salvo poi concedere che
alcuni "obiettivi" potrebbero essere comuni.
E pressioni sembrano arrivare anche dall'Onu, con l'Alto
commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, che ha
denunciato come "la paralisi internazionale" abbia incoraggiato
gli "assassini, i torturatori e i devastatori in Siria".
Nelle ultime settimane,
il regime di Damasco ha frattanto
intensificato a sua volta gli attacchi contro i miliziani dell'
Isis, con decine di Raid nel Nord-Est del Paese, 'cuorè dello
Stati islamico. Ma secondo quanto affermano analisti siriani sul
posto, con l'eccezione della zona di Aleppo, dove l'avanzata dei
jihadisti favorisce invece i ripetuti tentativi del regime di
sconfiggere gruppi armati anti-Assad proprio nella strategica
metropoli del Nord.