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È la ricostruzione post Covid-19 a prendere forma nella seconda giornata del G7 a Carbis Bay. Il «building back», la ricostruzione, viaggia su due direttive: nuovi protocolli di emergenza sanitaria per accelerare le capacità di risposta futura a una nuova pandemia, ma non vi è un sostanziale passo avanti sulla distribuzione dei vaccini e sulla sospensione dei brevetti. In una giornata monopolizzata dalla politica estera, il G7 approva un nuovo piano di investimenti per contrastare la crescente influenza globale della Cina.
Primi impegni di un patto transatlantico che, dopo le difficoltà dell’era Trump, pare ritrovato: «La solidarietà e la collaborazione guidata dai valori tra i membri del G7 è sempre stata la ricetta del successo. Questo spirito è tornato in Cornovaglia», twitta durante una pausa la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Il benvenuto a Joe Biden nel G7 porta a risultati concreti: i Grandi hanno approvato un piano per investimenti in infrastrutture in Paesi in via di sviluppo in modo da contrastare la crescente influenza globale della Cina. Il piano “Build Back Better World” (B3W), fortemente voluto da Joe Biden vuole evitare che questo diventi il “secolo cinese”. Pechino, infatti, ha investito miliardi di dollari nel mondo con la sua “Belt-and-Road initiative”, la “Nuova Via della seta”, incastrando di fatto i Paesi più poveri con debiti che non possono essere ripagati. Come spiega un alto funzionario statunitense «non si tratta di far scegliere i Paesi fra noi e la Cina. Si tratta di offrire una visione e un approccio alternativo: quello che stiamo proponendo è un’agenda positiva concentrata sull’unire i Paesi che condividono i nostri valori sui temi che contano di più».
I Grandi non vanno oltre il miliardo dosi per il Sud del mondo, resta ferma
la proposta di sospendere i brevetti per produrre nei Paesi più colpiti dal virus
I leader del G7 hanno raggiunto un consenso sulla necessità di un approccio condiviso sulla vendita delle esportazioni dalla Cina a prezzi troppo bassi e sugli abusi dei diritti umani. L’obiettivo è di offrire una risposta al bisogno di infrastrutture nei Paesi in via di Sviluppo, esacerbata dalla pandemia di Covid. Attraverso B3W, le nazioni del G7 e altri partner, spiega la Casa Bianca, si coordineranno nel mobilitare capitali del settore privato in quattro aree di interesse – clima, salute, tecnologia digitale e uguaglianza di genere – con investimenti provenienti dalle rispettive istituzioni finanziarie per lo sviluppo dall’America Latina, ai Caraibi, all’Africa fino all’Indo-Pacifico. Con Joe Biden, il padrone di casa Boris Johnson e il premier canadese Justin Trudeau a cui si contrappongono l’Unione Europea e i suoi leader, in particolare Mario Draghi e Angela Merkel, più cauti e interessati a enfatizzare le possibili aree di cooperazione con Pechino.
Non manca un segnale chiaro sui diritti umani: è sempre il presidente Joe Biden ad affermare che il trattamento che la Cina riserva alla minoranza uighura nel Paese, è «un affronto alla dignità umana e un esempio della scorretta competizione economica della Cina».
La giornata di ieri si è chiusa con una intesa su una strategia anti-pandemica planetaria che non ha però affrontato il nodo dei brevetti. Un programma che accompagna l’annunciata donazione entro metà 2022 di un miliardo di vaccini anti-Covid (di cui 500 milioni dagli Usa e 100 milioni dal Regno Unito), da destinare alle nazioni più povere, l’impegno a una condivisione stretta dei dati sanitari collettivi: un numero di dosi che rappresenta un decimo del necessario, senza che si sia fatto nessun accenno alla sospensione dei brevetti. L’accordo prevede la creazione di «un radar pandemico» in grado d’individuare le varianti dei virus attraverso un incremento degli esami sui genomi umani e il sostegno a «una riforma e a un rafforzamento del ruolo dell’Oms». Tutto il piano è sostenuto dall’obiettivo di abbreviare nel prossimo futuro i tempi della ricerca per lo sviluppo dei vaccini da almeno 300 giorni fino a non più di 100.
Un impegno comune, ma con pesi e toni ancora molto diversi: l’Unione Europea, ricordava su Twitter Ursula von der Leyen, «è la principale contribuente al Covax» e «il nostro obiettivo è esportare 700 milioni di dosi entro fine anno». Ma un patto globale per i vaccini di fatto non c’è ancora.