Un frame del video pubblicato aulla pagina fìFacebook di Cameroon News Agency - Facebook
Dal sudovest del Camerun arriva un appello disperato. I nove ostaggi, tutti religiosi cattolici rapiti poco più di un mese fa, sono apparsi in un filmato di 45 minuti girato dai loro sequestratori e condiviso sui social media. Le autorità locali sembrano però contrarie a un vero dialogo per liberarli. “Finora non è stato facile”, sono le parole iniziali di padre Cornelius Jingwa, uno dei rapiti. “La situazione nella quale ci troviamo è piuttosto difficile e stiamo supplicando nostro Signore perché facciate tutto il possibile per farci uscire da qui. Purtroppo – continua il sacerdote –, si tratta di una questione di vita o di morte”.
Nel video sono state riprese le espressioni senza speranza degli ostaggi, alcuni dei quali sono malati da giorni. I responsabili del sequestro esigono un riscatto, ma per il momento non è stata resa nota la cifra esatta. “Se ci guardate, vedrete che i nostri volti sono molto tristi e provati – continua a spiegare padre Cornelius –. Preghiamo monsignor Aloysius Fondong Abangalo, vescovo della diocesi di Mamfe, affinché possa aiutarci a tornare liberi”.
Era il 16 settembre quando un gruppo armato ha incendiato la chiesa di Santa Maria a Nchang, cittadina della regione anglofona sudoccidentale, e ha catturato cinque sacerdoti, una suora e tre laici. La località in questione è vicina al confine con il sudest della Nigeria, un territorio difficile da penetrare a causa della fitta foresta che separa i due Stati. “Mi addolora pensare che i rapitori sono i nostri fratelli e sorelle – aveva commentato il vescovo Abangalo –. Alcuni di loro sono cattolici e hanno commesso un abominio bruciando la chiesa con Gesù dentro”.
Gli assalitori erano almeno 30 e alcuni di essi avrebbero organizzato per diversi giorni l’attacco confondendosi tra i fedeli durante la messa e i vari incontri religiosi. Questo è solo l’ultimo episodio di una serie di sequestri che nelle due regioni anglofone del Camerun si susseguono da circa cinque anni. “La violenza nelle regioni del Sudovest e Nordovest del Camerun ha causato più di 6mila vittime dal 2017 – affermano le organizzazioni umanitarie che spesso faticano ad avere accesso alle zone a rischio –. Sono invece circa un milione le persone che hanno dovuto lasciare le proprie case per trovare luoghi più sicuri dove vivere”.
Alcuni degli sfollati sono rimasti nelle regioni anglofone raggiungendo i capoluoghi di Bueà, nel Sudovest, e di Bamenda, nel Nordovest. Altri hanno trovato rifugio nella parte francofona del Camerun mentre una parte, apparentemente minoritaria, si trova nella vicina Nigeria. “Gli scontri armati tra i ribelli separatisti e l’esercito regolare proseguono lontani dai riflettori della comunità internazionale – spiegano gli esperti –. Entrambe le parti sono accusate di atroci crimini contro la popolazione civile”.
La crisi identitaria tra Camerun francofono e anglofono, sebbene abbia avuto origine negli anni Sessanta dopo l’indipendenza, è riaffiorata nel 2016. La marginalizzazione della popolazione anglofona ha fatto crescere il malcontento in una regione ricca di risorse naturali sfruttate principalmente dal governo formato a maggioranza da funzionari del Camerun francofono. Matteo Fraschini Koffi