mercoledì 5 febbraio 2025
Il 70% dei cadaveri è di civili. La sezione femminile del carcere era stata assaltata da migliaia di evasi e poi data alle fiamme. Ripresi i combattimenti, i ribelli avanzano verso sud
Un bambino in piedi su una tomba osserva gli uomini della Croce Rossa che trasportano i sacchi con i cadaveri

Un bambino in piedi su una tomba osserva gli uomini della Croce Rossa che trasportano i sacchi con i cadaveri - Ansa

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Passata la battaglia, a Goma si contano gli orrori. Centinaia le detenute violentate e bruciate vive. Tremila i cadaveri in città, in gran parte civili. E lo spettro del colera. A dieci giorni dagli scontri che il 27 gennaio hanno consegnato il capoluogo del Nord Kivu, nell'Est della Repubblica Democratica del Congo, all’Alleanza del fiume Congo, coalizione di milizie guidata dall'M23 sostenuto dal Ruanda, l’agenzia Onu per il Coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha aggiornato il bilancio delle vittime: duemila i cadaveri seppelliti, 900 negli obitori e a decine in decomposizione nella zona dell’aeroporto e nel carcere. E proprio dal carcere Munzenze, da dove migliaia di detenuti erano evasi durante la battaglia, arriva notizia di scene raccapriccianti: l’ala femminile è stata data alle fiamme dopo che gli evasi avevano fatto irruzione e violentato centinaia di detenute. Lo ha denunciato Vivian van de Perre, vicecapo della Missione Onu in Congo (Monusco), citata dal Guardian. La vicedirettrice dell'Ocha (l'ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari), Bounena Sidi Mohamed, denuncia la «carenza di scorte di sacchi per cadaveri» e precisa che i civili sono il 70 per cento dei morti.

Nella calma apparente di Goma, a far paura ora è il rischio delle epidemie, in particolare colera, morbillo e vaiolo delle scimmie (Mpox). Medici senza frontiere, operativo negli ospedali Kyeshero e Virunga, conferma che «casi si stanno verificando quasi dappertutto, non ancora a livelli catastrofici». Negli ospedali, informa il responsabile dell’Ong in Nord Kivu, Stephan Goetghebuer, «stanno arrivando nuovi feriti, persone che si erano nascoste o erano bloccate in luoghi inaccessibili».

Martedì i ribelli avevano proclamato il cessate il fuoco per ragioni umanitarie. Ma per il governo si tratta di un bluff. Stamani all'alba, secondo fonti dell'Afp, feroci combattimenti avrebbero consegnato agli antigovernativi la città mineraria di Nyabibwe, un centinaio di chilometri a nord di Bukavu, capoluogo del Sud Kivu.

Sul versante politico, il presidente Felix Tshisekedi sta promuovendo l'arruolamento di volontari e invocando soluzioni negoziate. Su sua richiesta, venerdì si riunirà d’urgenza il Consiglio Onu per i diritti umani. Per sabato è previsto il faccia a faccia, in Tanzania, fra Tshisekedi e l’omologo ruandese Paul Kagame, al vertice straordinario congiunto della Comunità dell'Africa orientale (Eac) e della Comunità per lo sviluppo dell'Africa australe (Sadc).

Il Ruanda e l'M23 accusano l'esercito congolese di collaborare con le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), gruppo fondato nel 2000 dai leader del genocidio dei tutsi e da hutu in esilio per riconquistare il potere a Kigali. L'attività armata dell'M23 è ripresa nel novembre 2021 con attacchi contro l'esercito congolese nel Nord Kivu e, lo scorso gennaio, è avanzata fino a conquistare Goma, sede di Ong e istituzioni Onu. Il Congo accusa il Ruanda di saccheggiare le risorse del suo sottosuolo, minerali e terre rare (stagno, tungsteno e tantalio, estratto dal coltan e fondamentale per produrre i componenti elettronici) alimentandone il contrabbando. Stando a un rapporto Onu, tra aprile e dicembre 2024 l'M23 avrebbe incassato 800 milioni di dollari grazie all’esportazione illegale di coltan in Ruanda dal territorio del Nord Kivu sotto il suo controllo.

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