AMERICA LATINAIl boom è già finito: giù export e rimesseMichela CoricelliIndici e percentuali non sono infallibili: i panieri fissati dai diversi Paesi a volte non sono del tutto aggiornati e il costo della vita continua ad aumentare. Al di là delle teorie, quel che conta sono i cartellini esposti sui banchi dei mercati popolari: i prezzi del riso, del mais o dei fagioli possono cambiare (e in peggio) la vita di milioni di famiglie. Gli standard generali dicono che in America Latina oltre 181 milioni di persone vivono in una situazione di povertà. Di questi, 70 milioni – ovvero il 13% del totale – tentano di sopravvivere in una fascia asfissiante, che gli esperti definiscono «estrema povertà». L’America Latina ha fatto importanti passi in avanti negli ultimi anni: dal 2000 al 2007 il tasso di povertà è diminuito del 9%. Ma i risultati positivi alimentati da un periodo di crescita, stabilità e investimenti, vacillano a causa della crisi internazionale: il rischio è tornare indietro.La regione affronta la sua prima recessione in sette anni e le immediate conseguenze sono l’aumento della disoccupazione (nel 2009 tre milioni di senza lavoro in più) e la miseria: altri 8 milioni di persone finiranno in povertà. Pochi Paesi riusciranno ad evitare pesanti ricadute: il Perù (sulla scia del boom degli ultimi anni) potrebbe essere un’eccezione, ma le classi più povere del Paese andino denunciano gravissimi squilibri nella distribuzione del reddito. Non soffriranno sono le fasce più deboli: la classe media latinoamericana sarà fortemente colpita dalla crisi, anche a causa del crollo delle esportazioni. L’America latina continua a vendere all’estero soprattutto materie prime, petrolio, prodotti minerari o agricoli, e i prezzi risentono della situazione mondiale. Insieme all’export, la crisi comporta la diminuzione degli investimenti diretti da parte dei Paesi più ricchi, impegnati in una drastica riduzione dei costi. Non ultimo, c’è il problema delle rimesse degli emigrati, vitali soprattutto in Messico e in Centroamerica: nel 2009 potrebbero calare fra il 4% e il 10%.
AFRICA«Scambi più liberi e infrastrutture»Paolo M. AlfieriMigliorare l’accesso al credito, resistere alla tentazione di erigere barriere ai commerci, incentivare le infrastrutture, investire su sanità ed istruzione, rafforzare le istituzioni di governo. Sono queste le principali raccomandazioni di Banca mondiale, Forum economico mondiale e Banca per lo sviluppo africano, contenute nell’ultimo rapporto sulla competitività del continente nero. Lo studio mette a nudo le debolezze africane anche alla luce delle nuove minacce portate dalla crisi economica, e suggerisce, al contempo, i necessari correttivi. La ricetta per migliorare la competitività dell’economia africana a livello globale, secondo il rapporto, è costituita da due obiettivi a breve termine e tre a lungo termine. Occorre, innanzitutto, creare sistemi finanziari più efficienti e inclusivi, con un aumento dell’accesso al credito, oltre a mantenere i mercati il più possibile aperti. Secondo gli esperti, infatti, la crisi globale ha rafforzato negli ultimi tempi i sostenitori delle teorie del protezionismo. Se queste ultime venissero applicate, ad esempio con l’adozione di forti barriere doganali, gli spazi per gli scambi si restringerebbero, la domanda si ridurrebbe ulteriormente e la crescita diventerebbe ancora più compressa. L’inversione di tendenza nel campo dello sviluppo africano, però, non potrà avvenire senza investimenti nelle infrastrutture. I problemi nei settori dell’energia e dei trasporti sono, ad esempio, tra i principali nodi che bloccano crescita e competitività. Migliorare le infrastrutture non solo contribuirebbero alla crescita, ma farebbe anche da stimolo fiscale in un momento critico come quello attuale. Il potenziale produttivo dell’Africa, poi, è gravemente limitato dalle carenze negli ambiti dell’istruzione (si pensi alla mancanza di forza lavoro qualificata) e della sanità, probabilmente i settori nei quali va posta più urgentemente l’attenzione dei governi. Proprio ai governi, peraltro, è rivolta l’ultima raccomandazione del rapporto. Senza ambienti istituzionali trasparenti e forti, infatti, difficilmente l’Africa potrà sperare in un futuro più sereno. Prova ne è il fatto che proprio nei Paesi in cui prevale una buona governance (tra gli altri Sudafrica, Botswana, Marocco e Ghana) si sono riscontrati negli ultimi anni i maggiori miglioramenti anche sul fronte dello sviluppo economico.