Sarà un lungo inverno e durerà sei mesi
giovedì 25 agosto 2022

A sei mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina già lo aspettano, lo temono, forse anche lo invocano. Proprio lui, quel Generale Inverno che i russi ben conoscono e più di loro lo hanno conosciuto la Grande Armée di Napoleone Bonaparte e i carri armati della Wehrmacht. Perché nei prossimi sei mesi sarà proprio lui il protagonista della guerra. E non solo perché nel gelido confine fra Russia e Ucraina l’inverno rallenterà la manovra degli eserciti così come la rasputiza (il rammollimento del suolo durante il disgelo e le piogge primaverili) la ostacolerà, ma perché questo fantomatico generale agirà con asimmetrica perfidia.

Di qua – inteso come fronte orientale – inchioderà le armate russe e il contrattacco ucraino a una mortificante – e sventatamente messa in soffitta – riedizione della guerra di posizione della Grande Guerra ’14-’18. Di là – inteso come Europa, Nato, democrazie liberali – sarà il castigatore inesorabile delle economie occidentali, colpendo sui prezzi dell’energia con risultati più devastanti di ogni offensiva militare. Di qua, la pur frammentata Maginot ucraina che costringe la Russia a una guerra di cannoni e di missili (gli eredi della Fleissige Bertha, il supermortaio dei Krupp che colpiva Parigi da distanza inimmaginabile) con l’esercito inchiodato sul terreno. Di là, una miriade di imprese europee che sono prossime alla chiusura perché non sono in grado di pagare una bolletta energetica in certi casi centuplicata.

Di qua, uno stallo militare che sta diventando politico, con Mosca incapace di imprimere una svolta efficace ad una guerra che ha preso un abbrivio drasticamente diverso da quello che gli strateghi di Putin avevano prefigurato nonostante la quasi inesauribile provvista di armamenti. Di là, un’Europa che si troverà prima o poi a doversi misurare con nuove autolesionistiche sanzioni alla Russia (già ci immaginiamo non soltanto la reazione contraria di Orbán, ma i dubbi amletici sempre più laceranti di Olaf Scholz) e nuovi probabili aumenti di spesa nel settore della difesa. Sarà l’inverno del nostro scontento, con i suoi invincibili generali, forse gli unici attori in grado di costringere i belligeranti a un armistizio e gli alleati a qualche ripensamento. Magri semplicemente un congelamento dello statu quo, senza veri vincitori e vinti. Perché anche il mondo occidentale, come si è detto, pagherà un prezzo elevato per il protrarsi di uno stallo che è davanti agli occhi di tutti. Torna alla mente la parola “quagmire”, pantano, espressione usata in America all’epoca della guerra del Vietnam ad indicare un conflitto nel quale Washington si era intrappolata senza reali probabilità di uscirne vittoriosa. Alcuni dati economici dovrebbero far riflettere: l’invasione dell’Ucraina costerà nel 2002 a Mosca un calo tra il 4,2% e il 6% del Pil, molto meno di quel 12% che gli uffici statistici russi avevano preventivato. Come dire che gli oltre undicimila provvedimenti sanzionatori adottati dall’Occidente hanno solo superficialmente indebolito la Russia; dove è vero che mancano negli scaffali migliaia di prodotti occidentali, ma è altrettanto vero che all’embargo europeo e americano Mosca ha risposto cercando e trovando nuovi mercati: egiziani, indiani, cinesi, siriani, birmani si rivolgono a Mosca e al suo petrolio a buon prezzo. Perfino il rublo si è riapprezzato del 30% rispetto al dollaro.

Da noi invece i prezzi dell’energia continuano a salire. E non soltanto per colpa della Russia. Perché la causa primaria è la sovraproduzione manifatturiera cinese, anche se Mosca contribuisce all’altalena dei prezzi avendo il controllo dei rubinetti degli idrocarburi. I sei mesi che verranno, con il Generale Inverno che congelerà non solo la guerra ma anche gli sforzi di ripresa dell’economia europea, saranno cruciali. Come cruciali saranno per Joe Biden le elezioni americane di medio termine. Come ebbe a dire oltre settant’anni fa con acuta lungimiranza Alcide De Gasperi, «Nessuno fa nulla per solo sentimento e anche l’America fa i suoi calcoli».

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