lunedì 28 luglio 2014
Il 27 luglio 2013, lo scomodo «gesuita del dialogo» è stato rapito a Raqqa. Tante voci nessuna certezza.
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«Piantammo una tenda per la notte: l’antico monastero di San Mosé l’Abissino non era agibile. E cominciammo a darci da fare. Appena seppero del nostro lavoro, dalle cittadine intorno vennero a decine per darci una mano». Nella Siria-mosaico di culture e fedi erano normale che gli islamici aiutassero i cristiani a ricostruire un luogo importante per ogni credente. «E Mar Musa è stato fin dall’inizio patrimonio di tutti i siriani», racconta ad Avvenire Gian Maria Piccinelli, esperto di diritto islamico e preside della Facoltà di Studi politici Jean Monnet della Seconda università di Napoli. Ad agosto saranno trascorsi trent’anni da quando padre Paolo Dall’Oglio diede inizio a quella che, poi, sarebbe diventata la comunità monastica. Con tutta probabilità, purtroppo, il gesuita non potrà celebrare l’anniversario fra i confratelli. Esattamente un anno fa, padre Paolo è scomparso. Ingoiato dall’inferno della guerra siriana. Era rientrato nel Paese in segreto, dopo l’espulsione decisa dal regime di Assad, per mediare la liberazione di alcuni ostaggi. Doveva essere una missione breve: qualche giorno nel Nord, nella zona di Raqqa, e poi il rientro in Italia. «Avrebbe dovuto partecipare al campo internazionale per giovani La Pira. Gli avevo già preso il biglietto», aggiunge Piccinelli. E, invece, il sacerdote è stato sequestrato. Il 29 luglio 2013, l’ultimo contatto. Poi niente. Non a caso, proprio martedì 29, nelle chiese di varie città italiane – da quella di San Giuseppe di Roma a San Bernardino di Verona – ed europee verranno celebrate Messe e preghiere per ricordare Dall’Oglio. E da domani il sito del mensile Popoli (www.popoli.info), di cui era collaboratore fisso, gli dedicherà una riflessione. In attesa del suo rilascio. «Sono convinto che sia vivo. Lo immagino pregare e lavorare dal di dentro per la pace, come sempre», afferma Piccinelli.Il docente era fra i giovani che, tre decenni fa, accompagnavano il gesuita sui monti Qalamun, per ricostruire il diroccato monastero di Mar Musa e trasformarlo in uno degli esempio, tra i più originali e profetici, di inculturazione del cristianesimo nel contesto islamico. Attraverso quel “dialogo del quotidiano”, tanto caro a padre Paolo. «Quel dialogo cioè che nasce dall’incontro fra persone. Non da teorie. Mar Musa era innanzitutto questo: un posto aperto a tutti, dove gli esseri umani potevano incontrarsi e parlare, fuori dai soliti schemi», dice Piccinelli. «È il dialogo spontaneo che nasce dalla vita, quando cristiani e musulmani si trovano a vivere fianco a fianco. In pace. Come in Siria, prima di questo assurdo conflitto», sottolinea ad Avvenire Mustafa Cenap Aydin, direttore dell’Istituto Tevere e specialista nel dialogo interreligioso. Anche quest’ultimo ha avuto una lunga frequentazione con padre Paolo. «Una delle pietre miliari della nostra amicizia è il pellegrinaggio, fatto insieme, il 17 dicembre 2012, sulla tomba del sufi Rûmî, amico di San Francesco», racconta ancora. Rûmî è una delle figure-simbolo del dialogo fra le differenti religioni “figlie di Abramo”. Come padre Paolo. Per questo Dall’Oglio era scomodo per quanti in Siria del “non dialogo” hanno fatto una bandiera. Difficile capire chi l’abbia in ostaggio, però. In un anno, il giallo non ha fatto che infittirsi. L’ipotesi più accreditata accusa i jihadisti dell’Isis. I succesivi annunci di esecuzione, negoziato, incontro con una delegazione italiana – tutti smentiti – hanno ingarbugliato, però, la matassa. Una cosa è certa: in Italia e in Siria, tanti attendono il suo ritorno. Cristiani – in primis papa Francesco, che l’anno scorso l’ha ricordato nella Messa per Sant’Ignazio e si tiene informato sulla vicenda – e islamici. E pregano perché questo accada presto.
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