«Orgoglioso di essere europeo. Come tutti quei cittadini «che hanno sognato un continente di pace e quelli che lo hanno una resa una realtà». Il Nobel per la Pace è un «omaggio a loro», ha affermato il presidente dell’Unione Europea Herman Van Rompuy durante la cerimonia di consegna del prestigioso riconoscimento. Dopo aver ricordato il primo incontro dei sie fondatori a Roma per «cominciare un nuovo futuro». Ieri, a salire sul palco del City Hall di Oslo, oltre a Van Rompuy, il presidente della Commissione José Manuel Barroso e quello del Parlamento Martin Schulz. Salutati da una standing ovation di oltre un minuto a cui hanno partecipato anche i reali di Norvegia, i tre hanno ricevuto dal presidente del Comitato dei Nobel, Thornbjoern Jagland – a nome dei ventisette Stati membri –, la medaglia d’oro e il diploma (oltre ai quasi due milioni di euro che verranno destinati a progetti umanitari), in cui l’artista norvegese Gerd Tinglum ha rappresentato dodici quadrati, di colori e dimensioni differenti. Simbolo non solo dei fondatori: il 12 è, in varie tradizioni, emblema di perfezione, completezza e unità. Quell’unità che, appunto, l’Ue ha garantito negli ultimi sei decenni e per cui – ha ribadito ieri Jagland – il Comitato ha voluto riconoscerle il Nobel. Lo stesso tema su cui ha insistito Van Rompuy. Non ci sarebbe stata una pace «tanto duratura» – ha detto –senza l’Unione. Ma il Nobel 2012 – ha sottolineato Barroso – è anche un premio al futuro. Perché «la nostra speranza e il nostro impegno è che l’Unione Europea aiuterà il mondo a stare insieme per giustizia, libertà e pace». Al centro del discorso del presidente della Commissione – in questo momento di forte turbolenza finanziaria – l’euro. Definito «uno dei simboli più visibili della nostra unità» che sta «nelle mani di tutto». Barroso ha dichiarato la ferma volontà dei Ventisette di difendere la moneta unica, nonostante la crisi. E le frizioni.Che non sono mancate nemmeno nella giornata di ieri: in platea c’erano venti leader del continente: dall’italiano Mario Monti alla tedesca Angela Merkel, al francese Francoise Hollande allo spagnolo Mariano Rajoy. Significative, però, le assenze illustri. Otto in totale. Tra cui il premier britannico ha disertato la cerimonia, inviando al suo posto vice, più europeista, Nick Clegg. Non c’erano nemmeno i noti euroscettici Freidrik Reinfeldt e Vaklav Klaus, premier di Svezia e Repubblica Ceca. Del resto, una parte dell’opinione pubblica internazionale, si era schierata contro il riconoscimento, accusando l’Ue di essere “latitante” o “inefficiente” nel risolvere le tensioni al suo interno e soprattutto nella gestione delle crisi mondiali. Molte erano state nelle scorse settimane le voci critiche illustri, dal sudafricano Desmond Tutu all’argentino Pérez Esquivel. Diametralmente opposto, il parere di alcuni think thank e centri studi – dall’Open Society al Centre for European Reform – che hanno visto il Nobel come «un prezioso incoraggiamento» in un momento di oggettiva difficoltà. Con questo spirito ieri i tre leader dei “pilastri” dell’Unione hanno ricevuto il Premio. E se Van Rompuy, rivendicando il suo orgoglio europeo, si è ispirato a John F. Kennedy e alla celebre frase, pronunciata alle spalle del muro di Berlino, «Io sono berlinese», Barroso ha citato Papa Wojtyla. «Dopo la riunificazione, l’Europa è stata in grado di respirare con entrambi i suoi polmoni, come ha detto Karol Wojtyla», ha detto. Ora, il continente deve riempirli di aria per camminare verso il futuro.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: