Ti sorprende quella festosa confusione di visitatori nel cortiletto color ocra, come il sorriso di benvenuto di un giovane sacerdote. Ma l’incanto dei riflessi sulla pietra levigata del patriarcato, nel pomeriggio di Gerusalemme, è come un velo su una mal celata ansia: «Allora li hanno liberati?», chiede subito in italiano «Ma dove vorranno arrivare. Domenica ero a Gaza: un inferno», sussurra. La mano alzata per il saluto accompagna la più disarmante richiesta di aiuto. Ma quel «pregate per noi», prima di imboccare le stradine della Città vecchia, conserva ancora un tono lieto, quasi di speranza. Salito lo scalone, seduto al centro di una tipica divaneria araba, il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal aspetta ugualmente sorridente.
Patriarca Twal, il giorno dopo la strage, mentre il resto del mondo condanna e s’interroga, nel cuore della Gerusalemme cristiana quali sentimenti provate?Questa situazione per noi Chiesa di Gerusalemme non è una novità, è il nostro pane quotidiano. Ho detto spesso che noi siamo una Chiesa del Calvario a cui tocca soffrire e non dobbiamo mai disperare. Certo, c’è il dolore di un massacro in più, ma abbiamo già assistito ad altri massacri come a Jenin e a Gaza. Noi, torno a dire, abbiamo bisogno di pace, ma bisogna seminare, bisogna saper fare sacrifici per questa pace.
Speranze e sacrifici di popoli, spazzati via ancora una volta alle 4 di lunedì mattina...Di fronte a questi gesti quello mi chiedo è che mondo stiamo preparando? Un mondo di moderati, di persone che si capiscono o un mondo di radicali? Non lasciamo il posto ai fondamentalisti sia dalla parte araba sia dalla parte israeliana. Ma chi non mangia non si può curare e diventa per necessità terrorista. Dobbiamo incoraggiare i moderati a guardare un futuro lontano ma possibile di pace. Per questo la nostra stessa presenza qui come cristiani è una missione e ogni missione comporta il portare la croce. Poi ci aspettiamo di più dalla Chiesa universale cattolica e dalla comunità internazionale: più di coraggio per la pace. Se dopo 60 anni di tentativi noi non ci siamo arrivati, per gli errori commessi o per la mancanza di fiducia, più che mai una terza parte deve intervenire per portare pace.
Quale gesto di coraggio concreto si aspetta?Il coraggio di dire la verità. La comunità internazionale deve dire a Israele: questo non si fa, stai perdendo la testa. Se no si lascia campo libero ai fondamentalisti: chi non mangia e non si può curare si converte per necessità in un terrorista. Fate, facciamo di tutto per incoraggiare i moderati.
E se potesse incontrare Obama cosa gli direbbe?Abbiamo sperato in lui, soprattutto dopo il discorso del Cairo. Speriamo, speriamo ancora.