sabato 6 marzo 2021
Il Pil del 2021 è stimato al 6% e il partito ha elevato al 6,8 i fondi alla Difesa. E la Marina militare ha ormai superato anche gli Stati Uniti
Un reparto dell’esercito cinese marcia sulla Piazza Rossa a Mosca nell'anniversario della fine della Seconda guerra mondiale

Un reparto dell’esercito cinese marcia sulla Piazza Rossa a Mosca nell'anniversario della fine della Seconda guerra mondiale - Ansa

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L’orizzonte temporale lo aveva tracciato il presidente cinese Xi Jinping durante il 19esimo Congresso del Partito nell’ottobre 2017. Un orizzonte doppio. «2035»: «Completare la difesa nazionale e la modernizzazione militare» della Cina. «2050»: trasformare l’esercito cinese in una macchina da guerra «di livello mondiale». Ieri il gigante asiatico – in ossequio a quelle che il filosofo Wang Fuzhi chiamava «le trasformazioni silenziose » – ha aggiunto un altro tassello alla “lunga marcia”, rendendo noto il budget destinato alla spesa militare, il secondo al mondo dopo gli Usa. Nel 2021 la spesa crescerà del 6,8% (e dunque a un tasso di velocità superiore a quello del Pil che crescerà del 6%), in aumento rispetto al 2020 (allora si era registrato un +6,6), in calo se paragonato al 2019 (+7,5). È l’Effetto coronavirus che si è abbattuto, violentemente, sull’economia del gigante asiatico. Pechino – come si legge nel rapporto del ministero delle Finanze pubblicato a margine dei lavori annuali del Congresso nazionale del popolo, la sessione annuale del Parlamento cinese – ha definito una spesa di 1.355,34 miliardi di yuan (pari a 209 miliardi di dollari) per la sua difesa, un dato che secondo moli analisti è sottostimato e che inchioda la Cina a un livello di spesa tre volte inferiore al budget americano (che vale il 40% delle risorse del settore a livello globale).

Nel periodo più lungo, la spesa per la difesa autorizzata da Pechino è aumentata di un tasso di crescita del 9,1% tra il 2010 e il 2019. Il bilancio della difesa del Paese ha rappresentato l’1,22% del Pil nel 2019, inferiore a quello di Russia, Stati Uniti e India. Come leggere questi dati? Una cosa è certa: Pechino sta accelerando e cambiando volto al suo esercito. L’obiettivo è chiaro: passare dall’oggi – l’esercito più numeroso al mondo – al domani con un esercito tecnologicamente all’avanguardia in grado di competere e, nel caso, di guerreggiare con quello Usa. Un numero aiuta a cogliere la portata del cambiamento. Dal 2010 al 2017, la spesa annuale della Cina in attrezzature militari è passata da quota 26,2 miliardi a 63,5 miliardi di dollari. Nel 2010, il 33,3% della spesa militare totale era assorbita dalle attrezzature. Nel 2017 il 41,1%. Non è un caso, come scrive il sito China Power, che la spesa cinese in ricerca abbia registrato un aumento di oltre 35 volte tra il 1991 e il 2018, passando da 13,1 miliardi a 462,6 miliardi di dollari. Nel 2018 era ancora seconda a quella degli Stati ma superiore a quella dei quattro Paesi successivi nella classifica – Giappone, Germania, Corea del Sud e Francia – messi insieme.

È la Marina il settore a cui Pechino guarda con più attenzione. Il gap con gli Usa ormai è colmato. Anzi. La Cina ha ormai più navi militari degli Stati Uniti. A sottolinearlo è la Cnn, citando i dati dell'Oni, l'intelligence navale degli Stati Uniti: nel 2015 la flotta cinese poteva contare su 255 unità navali di combattimento. Secondo le stime dell'Oni, alla fine del 2020 Pechino è arrivata a 360 unità navali, ben 60 più degli Stati Uniti. E fra quattro anni potrebbe averne 400, grazie ad forte impegno dei propri cantieri navali.

A parte le due portaerei già in servizio, la Cina ha in cantiere altre quattro unità, che saranno a propulsione nucleare e che saranno dotate di catapulte elettromagnetiche, con maggior capacità di spinta dei cacciabombardieri imbarcati. Fra le unità pesanti ci saranno anche 6 portaelicotteri, per le dimostrazioni di potenza oceanica e gli assalti anfibi (a Taiwan e altrove), ma anche per proteggere le linee di comunicazione marittima e le vie delle seta navali. Non è un caso che Pechino stia potenziando anche le fanterie di marina. Aveva 10.000 marine nel 2015, oggi ne conta 25.000. Ma li farà lievitare a 100.000 uomini. Se l’orizzonte nel quale proiettarsi è lungo, non mancano le sfide “immediate”. Né la retorica bellicista. Il premier Li Keqiang ha avvertito che la Cina «scoraggerà risolutamente» qualsiasi attività volta «alla ricerca dell’indipendenza di Taiwan». Un messaggio indirizzato a Joe Biden alla sua politica di sostegno – con tanto di «ombrello atomico» – gli alleati nella regione.

I toni sono tutt’altro che concilianti. Per il Global Times «l’anno scorso, la Cina è stata sfidata da ripetute provocazioni militari dagli Stati Uniti, che hanno inviato navi e aerei da guerra per spiare le regioni costiere della Cina e per compiere esercitazioni militari. Mezzi Usa sono penetrati nelle acque territoriali della Cina nel Mar Cinese meridionale, così come nello Stretto di Taiwan». Di fronte «alle minacce esterne rimane la possibilità che alcuni punti caldi possano trasformarsi in conflitti: è necessario che l’esercito cinese aumenti la sua potenza e la sua capacità di combattimento globale» si legge sul giornale. «Le trasformazioni silenziose» sono, insomma, già in atto.

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