Al G7 Trump contro tutti (Ansa)
L'imprevedibilità del leader che guida la prima potenza globale, i ritardi negli impegni nazionali sulla lotta al cambiamento climatico, le disuguaglianze stridenti fra paperoni e miserabili del pianeta, gli incendi nel polmone verde amazzonico, le crisi atroci anche al di là del martoriato Medio Oriente, lo spettro di una nuova recessione.
Se il mondo fosse un pallone, ci sarebbe quasi da interrogarsi su quali baldi calciatori saprebbero giocare con un affare tanto lacerato. Ma da oggi e fino a lunedì in una Biarritz come mai blindata, rivendicando la propria responsabilità storica, a scendere in campo saranno nuovamente i cosiddetti «Grandi», ovvero i leader delle 7 democrazie tradizionalmente più ricche in termini di Pil: Stati Uniti, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Canada. Con l’aggiunta doverosa, come ospite, di quell’India che ormai tallona proprio i francesi padroni di casa del vertice. Fra gli altri Paesi invitati da Parigi, figurano la Spagna così geograficamente vicina a Biarritz, il Cile che accoglierà a dicembre la Cop25 sul cambiamento climatico, l’Australia e un drappello di nazioni africane: Egitto, Senegal, Burkina Faso, Ruanda e Sudafrica. Per questa 45ma edizione del G7, il presidente Emmanuel Macron ha scelto il litorale delle onde giganti care ai surfisti, quasi come un richiamo paesaggistico agli alti e bassi della ricchezza planetaria piazzati in cima all’agenda del vertice, assieme alla sfida contro quel cambiamento climatico che fatalmente colpisce i più deboli del pianeta.
Ma intanto, anche per via di queste priorità, resta grande il rischio del ripetersi di quella configurazione “Stati Uniti contro tutti” che ha già così pesantemente condizionato gli ultimi due appuntamenti del G7 in Italia e Canada. Washington sarà questa volta pronta ad uscire da una logica d’isolamento? Secondo la Cnn, il presidente Donald Trump ha interrogato nei giorni scorsi i consiglieri sull’utilità della trasferta a Biarritz, che «non è un buon uso» del tempo personale di un capo della Casa Bianca. Intanto, anche per ridurre il rischio di nuovi dissapori transatlantici pure su altri nodi in discussione, come la fiscalità dei giganti americani del Web, sarà per la prima volta un G7 senza comunicato finale congiunto.
Al contempo, la Gran Bretagna, tradizionale ponte del dialogo transatlantico, resta impelagata nelle secche ed incognite dell’imminente Brexit.
Non a caso, tanto il presidente Trump, quanto il neopremier britannico Boris Johnson, saranno impegnati pure in una fitta serie di colloqui collaterali incentrati spesso su emergenze e attriti da gestire già all’interno della casa dell’Occidente, da tempo non proprio un simbolo di coesione.
In parallelo, nessun invito amichevole è giunto per il carioca Jair Bolsonaro, nonostante il Pil brasiliano superi ormai quello canadese. Nelle ultime ore, la situazione nell’Amazzonia devastata dai roghi e la relativa condotta di Bolsonaro sono state indicate come un’emergenza ineludibile per il G7 e il tema è entrato in agenda. L’ha martellato ieri con insistenza pure la cancelliera tedesca Angela Merkel, nelle stesse ore in cui la presidenza francese prometteva già «iniziative concrete» del G7 per fronteggiare la crisi. Oltre alle questioni ambientali, ad assorbire parte dei lavori dovrebbe essere pure il caso di un’altra cancelleria controversa, quella russa. Anche gli Stati Uniti e il Giappone si dichiarano ormai aperti a reintegrare Mosca nel consesso dei Grandi già al G7 statunitense dell’anno prossimo, dopo l’esclusione causata dall’annessione della Crimea nel 2014.
Una tappa grazie alla quale Parigi e Berlino, nel quadro del cosiddetto “Quartetto Normandia” (Russia, Ucraina, Francia, Germania), sperano pure di trovare in fretta una soluzione alla drammatica crisi proprio in Ucraina, con un occhio attento anche ad eventuali ricadute collaterali positive in Siria e in Libia.
Se la proposta venisse accettata, il G7 si trasformerebbe nuovamente in G8, ma all’interno dell’Unione Europea, l’ipotesi viene ancora considerata da tante cancellerie come un segnale di debolezza nei confronti del mai sopito imperialismo russo. In proposito, sarà a Biarritz pure l’ex premier polacco Donald Tusk, agli sgoccioli del proprio mandato di presidente del Consiglio Europeo e non certo fra i leader continentali più teneri verso Mosca.
Al timone di una Francia che definisce volentieri come una «potenza d’equilibrio», Macron sogna di mostrare al G7 di poter divenire davvero un ago della bilancia della nuova geopolitica internazionale, conciliando le ragioni e gli interessi economici dell’Occidente con le rivendicazioni del mondo emergente, simbolizzate a Biarritz in particolare dall’indiano Narendra Modi e dal sudafricano Cyril Ramaphosa. Ma su questi piani, s’allunga l’ombra di una possibile recessione mondiale destabilizzatrice, anch’essa fra le priorità sul tavolo del G7.
Per l’Italia, ci sarà un Giuseppe Conte nello sgradito ruolo di premier dimissionario nelle pastoie di una crisi politica di mezz’estate che certamente non gioverà all’immagine internazionale di Roma. Ma ad eccezione della Francia, la congiuntura interna è complicata anche per gli altri leader europei presenti a Biarritz. Nel frattempo, non mancano polemiche per le Ong tenute a distanza dai lavori.