Lo Shinkansen corre veloce con la crisi più grave del Giappone in poppa. Benché il Paese sia per metà in ginocchio e per metà impaurito, il 'treno proiettile' brucia in 2 ore e 34 minuti i 515 chilometri che in direzione Sud separano Tokyo da Osaka. Al completo di compagni di viaggio che sono per un terzo l’abituale truppa aziendale che si sposta per motivi aziendali e il resto uomini, donne e bambini, molti nuclei familiari. Dire che sia fuori dalla norma è difficile, come pure la ressa alla Stazione di Tokyo. La coincidenza con la Festa della Primavera che cade lunedì avrebbe comunque incentivato una breve vacanza. Non si parla di evacuazione, né di esodo, ancora. Tuttavia, la paura crescente fa almeno ponderare una partenza. Osaka, storicamente e bonariamente rivale di Tokyo, segnata dai commerci più che dalla politica, rischia di diventare una retrovia della devastazione. In un colpo, la trincea della paura si è abbassata di centinaia di chilometri a ridosso del secondo aeroporto internazionale del Paese, quello del Kansai, progettato da Renzo Piano. Qui le compagnie europee stanno dirottando i propri voli e presto altre seguiranno. Qui, a diluirsi tra 3 milioni di abitanti, vanno ripiegando le truppe dell’informazione mondiale, allontanate dalla difficoltà di operare verso Nord, dal timore della radioattività, dalle pressioni dei Paesi d’origine. Ultimo dal rischio di restare bloccati in quarantena nel Paese del Sol Levante. Il treno che a un certo punto corre ai piedi del Fuji, innevato e incorniciato dal cemento, sembra passare longitudini diverse, dai sub-tropici all’Artico, ma soprattutto sembra attraversare un altro paese: sereno, moderno ma con ampie enclave di una rusticità ordinata, quasi museale. Un Paese a cui lo Shinkansen, esempio di tecnologia 'buona' e di precisione fuori dall’ordinario mondiale appartiene e rende servigio tenendolo unito nella quotidianità. Uno ogni dieci minuti tra Tokyo e Osaka, incidenti così rari da mettere a prova la memoria. Una via di fuga ideale, finché resterà aperta.
Si parte nell’incertezza Una cantante d’opera che vive a Tokyo sarebbe dovuta partire il 28 per l’Italia. Non potrà farlo, con ogni probabilità. Il marito che l’aveva preceduta ieri l’altro, con una sosta a metà pista di rullaggio per un improvviso terremoto e conseguente rinvio di ore della partenza, chissà invece quando potrà rientrare. Un’altra, pittrice, ha con sé ora la madre che dal terremoto dell’11 marzo non ne vuole sapere più di vivere da sola nel paesino degli avi sulle montagne. Il dilemma è se restare entrambe in una Tokyo sentita ora come insicura oppure spostarsi a Sud prima che l’imponderabile le raggiunga. Storie mi- nime, pescate a caso... Ci sono poi i dubbi: che cosa realmente sta succedendo, qual è il vero livello i pericolo, eccedono in prudenza i gestori della crisi oppure di scandalismo i mass media stranieri e i diplomatici accreditati? Niente si sa di 'valorosi 50', i tecnici ritornati nella centrale mercoledì sera dopo esserne usciti con altri 700 al mattino. Incertezze...
Troppi buchi nell’informzione Chi parte lascia una Tokyo che comincia a dimostrare qualche dubbio, qualche tensione. Qualche paradosso, anche. In aree della metropoli i negozi vanno svuotandosi, le code si allungano, le luci si spengono e la dedizione al sistema comincia a mostrare la corda. In altre, quelle meno popolate di gente comune e più di manager, funzionari e travet – insomma da chi la famiglia ce l’ha altrove –, mini-market e grandi magazzini restano ben forniti di merci ma con un pubblico che va riducendosi a soli passanti... In genere, la coda – dove prima era alle biglietterie dei teatri e alle casse delle librerie – è di norma ormai nei distributori di carburante, nonostante il razionamento che riduce a soli dieci litri il rifornimento. Tutti in metrò, in treno o in autobus, allora? No, perché le linee hanno ridotto tratte e orari e perché la corrente elettrica, che da un paio di giorni va disperdendosi in milioni di stufe accese per l’ondata di gelo, non basta. Ieri si è sfiorato il blackout della capitale, almeno parziale, ma oggi potrebbe essere un fatto compiuto. Come la fame che incombe sui 400mila sfollati, ospitati dignitosamente sotto un tetto, ma privati del cibo che non possono cuocere perché manca il gas per cucinarlo, con riscaldamento di fortuna a confrontarsi con la temperatura in picchiata e la neve che tutto copre e tutti uguaglia. Povera gente, prima orgogliosa di essere, come il 90 per cento dei connazionali, 'classe media', ora ridotta a sopravvivere ai margini di una devastazione che da ieri ha iniziato a vedere le prime rimozioni. In compagnia sempre crescente dato che ieri la prefettura di Fukushima ha ordinato l’evacuazione di altri 30mila residenti. Intanto, dai campi, da una vita di stenti che accomuna sopravvissuti e soccorritori, molti cominciano ad andarsene. Per chi resta negli alloggi di fortuna e per chi è sopravvissuto, si sta muovendo la solidarietà nazionale, tra molte incertezze e parecchi limiti. Milioni di litri di carburante, è stato deciso, saranno dirottati da oggi dal Sud del Paese verso Tokyo e il Nord. Come vi arriveranno, non è stato specificato, visto che è impossibile recapitare anche la biancheria che manca agli sfollati, raccolta dalla solidarietà pubblica.
Crescono i prezzi Cresce anche il costo della vita, non apparentemente connesso, in senso inversamente proporzionale, al 'caro Yen', terrore dell’economia giapponese. Ieri la valuta giapponese veniva data a quota 79 contro il dollaro, però il prezzo dei carburanti e dei generi alimentari non si è arrestato nella sua corsa. Sconcerto comune a Tokyo e Osaka davanti agli slanci e alle marce indietro degli specialisti e dei tecnici sulla vicenda dei reattori, ma anche, più prosaicamente sui 500 Yen cadauno dei cavoli venduti all’esterno degli acquartieramenti degli sfollati, sui banconi sotto la neve, a una fila muta, infreddolita, ma nipponicamente ordinata. I commenti raccolti dalle tv suonano come «Mi considero fortunato», ma «Che cosa sta succedendo al nostro Paese?» è la domanda più incalzante. La coincidenza più drammatica della storia fra avversità naturali, rischio nucleare, imprevidenza umana e – forse – rapacità di qualcuno non piega i giapponesi alla regola della giungla. Increduli nel presente, hanno smarrito il futuro e temono il medioevo nucleare, ma sanno ancora essere d’esempio al mondo e, in fondo, grati a chi resta.