Con un occhio ai “colpi teatrali” (sono stati una ventina gli agenti impiegati per portare a termine l’operazione) e con l’altro alla tempistica (i suoi arresti domiciliari sarebbero scaduti il 27 maggio), la giunta militare birmana ha fatto arrestare la dissidente storica Aung San Suu Kyi. Una “mossa” non isolata e in qualche modo attesa: da più parti è stata denunciata una vera e propria campagna governativa che ha la finalità di sradicare l’opposizione in Myanmar in vista delle elezioni politiche del 2010. Il pretesto usato dalla giunta militare per l’ennesimo attacco alla figura simbolo dell’opposizione birmana? L’intrusione nella villa dove è confinata il premio Nobel per la pace – che a distanza di giorni appare ancora velata dal mistero – di un cittadino americano, William Yeattaw, 53 anni, residente nel Missouri. Ora Suu Kyi rischia cinque anni di carcere per violazione delle condizioni dei suoi arresti domiciliari. La donna, 63 anni, che accusa problemi di salute, è stata tradotta dalla sua villa di Yangon al carcere di Insein, a nord della città. Qui è comparsa davanti ai giudici che l’hanno formalmente incriminata e stabilito che il suo processo inizierà lunedì prossimo. Almeno fino ad allora dovrà restare in carcere. Con lei sono stati incriminati anche due suoi collaboratori domestici. In base all’articolo 22 della “Legge a salvaguardia dello stato contro il pericolo di elementi sovversivi” – com’è chiamato il provvedimento imposto dalla giunta militare che governa il Myanmar col pugno di ferro dal 1962 – rischia fino a cinque anni di carcere. L’arresto, solo pochi giorni fa, del medico personale della dissidente rivela che è in atto una strategia precisa. Nei giorni scorsi fonti locali riportate dell’agenzia
AsiaNews in Myanmar avevano spiegato che «l’arresto del medico personale di Aung San Suu Kyi e il fermo del cittadino americano che l’ha visitata» sono legati alla «imminente scadenza dei termini di custodia a carico della leader dell’opposizione birmana». I termini dei domiciliarli scadono il 27 maggio e la «Signora» avrebbe dovuto tornare il libertà. Le fonte proseguiva dicendo che «sono state montate ad arte delle accuse» da parte della dittatura militare per «mantenerla agli arresti domiciliari», nonostante le condizioni di salute che continuano a essere «non buone».Premio Nobel per la pace nel 1991, Aung San Suu Kyi ha trascorso ben 13 degli ultimi 20 anni tra carcere e arresti domiciliari. Sposata con un accademico britannico, due figli, Suu Kyi stava studiando per ottenere un dottorato a Londra quando nel 1988 tornò a Yangon per accudire la madre morente.Il ritorno coincise con la caduta del dittatore militare, generale Ne Win, che deteneva il potere dal 1962. Nell’estate 1988, infiammata da manifestazioni popolari per la democrazia, Suu Kyi tenne un comizio davanti a mezzo milione di persone. La nuova giunta militare indisse elezioni legislative per il 1990, e nel 1989 pose agli arresti domiciliari la leader della Lega Nazionale per la Democrazia che guidava l’opposizione. Nonostante la perdita della libertà il suo partito vinse a valanga le elezioni (392 seggi parlamentari sui 485 in gioco). Lo schiacciante successo elettorale ha rappresentato la praticamente definitiva fine della libertà per la donna. E l’inizio del suo calvario.