In Sudan una giovane, di età al massimo sulla ventina o addirittura inferiore ai 18 anni, è stata condannata a morte mediante lapidazione per adulterio, e attualmente è rinchiusa in carcere insieme al suo bambino: lo denunciano Amnesty International e Human Rights Watch, sottolineando come la sentenza capitale, risalente a uno o due mesi fa, sia stata pronunciata "in violazione degli standard africani e internazionali", presenti "numerose trasgressioni delle leggi interne e del diritto internazionale", e altrettanto dicasi per una sua eventuale esecuzione.In quanto sposata la vittima, identificata come
Intisar Sharif Abdallah, secondo il codice penale sudanese va lapidata, mentre se fosse stata nubile se la sarebbe cavata con un numero variabile di frustate. La vicenda, notano le due organizzazioni umanitarie non governative, in patria è passata praticamente sotto silenzio né i mass media le hanno dato il benché minimo risalto.Intisar è stata riconosciuta colpevole sulla base della sua sola confessione, peraltro rilasciata dopo che un congiunto l'aveva picchiata selvaggiamente. Durante il processo, celebrato nel circondario della capitale Khartoum, non ha avuto alcuna assistenza legale nè quella di un interprete, pur esprimendosi il giudice in arabo che non è la sua lingua madre. I familiari hanno preannunciato ricorso.Malgrado in sede di appello siano generalmente modificate, nel Paese africano le sentenze che condannano per adulterio o applicano la pena della lapidazione sono nella stragrande maggioranza dei casi emesse a carico di donne, e dunque risultano discriminatorie nella misura in cui l'applicazione delle norme pertinenti "appare sproporzionata e diseguale", come pure lesiva dei divieti giuridici internazionali riguardanti la tortura e le punizioni crudeli e insolite.Per di più, sottolineano ancora Human Rights Watch e Amnesty International, al mondo rimangono soltanto sette Paesi, Sudan compreso, il cui ordinamento prevede ancora una pena anacronistica come la lapidazione. Nel 2009 fece scalpore il caso della giornalista e attivista
Lubna Hussein, finita in cella per il semplice fatto di aver indossato "pantaloni indecenti" ed essersi rifiutata di pagare una multa. Fu rilasciata dopo 24 ore, ma altre donne arrestate insieme a lei in un ristorante furono invece frustate.