È nei Paesi con sistemi sanitari di base già precari che il virus H1n1 rischia di scatenare una pandemia dalle conseguenze devastanti. In Africa, Asia e America Latina le autorità locali hanno annunciato misure precauzionali contro la nuova influenza, ma gli esperti temono che non saranno sufficienti. E che, soprattutto, la gran parte dei Paesi del Sud del mondo non ha né i mezzi per combattere la malattia né una presenza capillare di medici di base e laboratori in grado di compiere test approfonditi sui pazienti. In Asia i Paesi finora più colpiti dal virus H1n1 sono la Thailandia (2.700 casi), la Cina (2.300), il Giappone ( 2.000) e le Filippine ( 1.700). E proprio dalle Filippine è giunto l’allarme su alcuni casi di una variante del virus Ebola tra i suini che, in caso di mutazioni, diventerebbe pericolosa anche per l’uomo. Sarebbe un’ulteriore minaccia che andrebbe ad aggiungersi a quella della nuova influenza. In Indonesia, invece, il ministero della Salute ha parlato del rischio di una combinazione tra il virus dell’influenza suina e quello dell’aviaria. Preoccupazione anche a Bangkok, dove le autorità hanno chiuso oltre 450 scuole e 200 asili per effettuare una disinfestazione completa. Sono 285, invece, i contagiati dall’H1n1 in India. A Delhi le autorità stanno effettuando i controlli sugli studenti di una grande scuola pubblica, nella quale si sono finora registrati quattro contagi. In Africa, continente fino a poche settimane fa quasi immune dalla nuova influenza, l’allarme sta lentamente salendo: si contano ormai 157 contagi in undici Paesi. L’Organizzazione mondiale sella sanità ha istituito una squadra d’emergenza che da Brazzaville, capitale del Congo, ha il compito di monitorare la situazione. Diversi Paesi, come Egitto, Etiopia, Ghana, Marocco e Gabon hanno stabilito maggiori controlli sanitari alle frontiere, nei porti e negli aeroporti. Proprio ieri le autorità del Cairo hanno riferito del primo decesso di un cittadino egiziano, una donna 25enne che avrebbe contratto l’H1n1 durante un pellegrinaggio alla Mecca. In Sudafrica, dove i contagi sono finora 103, il timore è che la nuova influenza possa diffondersi ancor di più con la riapertura delle scuole ( le vacanza scolastiche sono finite ieri). Primi contagi anche in Tanzania, Botswana e Zimbabwe, Paese in cui un’epidemia di colera scoppiata lo scorso agosto – stante un sistema sanitario al collasso – ha ucciso più di 4mila persone. « Il problema dell’Africa è che i sistemi di sorveglianza non sono così buoni come in Occidente » , sottolinea Frew Benson, dirigente del Dipartimento nazionale della salute del Sudafrica. Si teme inoltre che il virus H1n1 possa essere ancora più devastante per le persone sieropositive ( in Africa sub- sahariana vivono quasi i due terzi degli affetti da Hiv), anche se gli esperti sottolineano che non c’è finora alcuna indicazione sul fatto che la nuova influenza avrebbe un impatto maggiore sui sieropositivi rispetto a qualsiasi altra malattia. Alcuni Paesi africani – come il Marocco, che ne ha un milione – hanno a disposizione dosi di Tamilflu. Altri, come il Burkina Faso, ammettono di non potersi permettere il lusso di accumulare scorte di farmaci. C’è poi chi, tra gli analisti africani, si chiede se l’allarme per la nuova influenza non sia altro che l’ultimo esempio dello iato esistente tra Nord e Sud del mondo. «Perché non c’è una mobilitazione simile per i 2,5 milioni di bambini che ogni anno muoiono di diarrea?», si chiede David Sanders, che insegna salute pubblica all’università sudafricana del Western Cape. Né un simile allarme, concordano altri osservatori, è mai risuonato a livello mondiale per i 3mila bambini che ogni giorno muoiono in Africa di malaria, o per le 1.900 vittime provocate da gennaio a oggi da un’epidemia di meningite in Nigeria, Niger e Ciad. Un bimbo con la madre in attesa del ricovero all’ospedale del Gerardo Barrios di El Salvador (Reuters)