martedì 2 novembre 2010
Sdegno per l'assalto di un gruppo terroristico a una chiesa cattolica nel centro di Baghdad, durante la Messa domenicale. Il commando ha preso in ostaggio i fedeli, chiedendo la liberazione di esponenti di Al-Qaeda. Dopo l'irruzione delle forze dell'ordine, si sono contate almeno 55 vittime, la maggior parte ostaggi, tra cui due preti e otto bambini. Benedetto XVI si appella alla comunità internazionale affinché cessi la violenza. I racconti dei sopravvissuti: distruzione ovunque, una carneficina.
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In chiesa, i primi a cadere sono stati due giovani preti, padre Trayer e padre Waseem, uccisi, raccontano testimoni, mentre cercavano di impedire al commando armato di entrare. Poi c’è stato il finimondo: «Una tragedia terrificante», di «violenza bestiale», ha detto un prete sopravvissuto, padre Pius Qasha, con ancora negli occhi i corpi dilaniati delle decine di vittime innocenti.C’era la preghiera e d’improvviso è esplosa la paura. Le urla dei terroristi, le grida delle donne e dei bambini, l’orrore. Le esplosioni delle bombe umane e le raffiche dei mitra, e le forze di sicurezza che irrompevano nell’edificio anche loro sparando come impazziti. Uno dopo l’altro cadevano i morti di una carneficina che ha lasciato le sue tracce di sangue e di resti umani ovunque, anche sulle pareti più alte della cattedrale siro-cattolica Nostra Signora del perpetuo soccorso di Baghdad. Più di cinquanta i cadaveri, una cifra incerta tra i 52 e i 55 corpi, tra cui dieci donne e otto bambini. Molti erano dilaniati. Oltre 70 i feriti, tantissimi quelli che sono arrivati in ospedale per essere amputati dalle orrende e irrimediabili ferite sul corpo. Purtroppo il bilancio delle vittime è destinato a salire, molti dei feriti non ce la faranno a causa delle gravi condizioni. Così come si teme per la sorte critica del terzo religioso rimasto vittima dell’attacco, il vicario, l’anziano padre Rafael Qusaimi, trafitto nella schiena da una scheggia o da un proiettile, che gli è poi uscito dal torace. Una domenica di sangue la vigilia di Ognissanti nel quartiere cristiano di Baghdad dove si trova la cattedrale siriaco-cristiana. Un giorno che non sarà mai dimenticato per la gravità, senza precedenti, di un attacco avvenuto dentro un edificio di culto, mentre i fedeli erano riuniti in preghiera. Un grave episodio di violenza che allarga una ferita che si fa sempre più profonda nell’animo dei cristiani del Medio Oriente e che sembra non doversi rimarginare più. Un attacco che va ad aggravare la condizione di sofferenza e dolore che affligge la comunità cristiana irachena, sempre di più spinta, dall’insicurezza e dalle minacce, sulla strada dell’esodo. Dell’esilio. Del distacco dalla terra che ha dato origine al cammino biblico.La rivendicazione del terribile episodio di sangue non si è fatta attendere. Un gruppo combattente iracheno, la cui sigla sta per «Stato islamico in Iraq», appartenente alla galassia islamista vicina ad al-Qaeda, si è fatto carico dell’attacco, minacciando la Chiesa copta d’Egitto se «entro 48 ore non ci sarà la liberazione delle nostre sorelle detenute». Due donne copte egiziane che, secondo la confusa rivendicazione, sarebbero trattenute per la loro presunta conversione all’islam. La minaccia tira in ballo anche il Vaticano che per questa richiesta «deve fare pressione sulle Chiese d’Oriente».La cattedrale è stata trasformata in «un campo di battaglia. Distruzione e morte ovunque», ha raccontato Abdullah Hermez Nofally, direttore dell’ufficio per la conservazione dei beni cristiani in Iraq: «C’erano oltre cento fedeli al momento dell’irruzione dei terroristi. Alcuni sono riusciti a fuggire, ma moltissimi altri sono rimasti intrappolati. È stato un massacro di fedeli, di gente pacifica, donne e bambini». Restano dei punti poco chiari nella ricostruzione dei fatti, di come la tragedia abbia avuto inizio. Sembra che il commando abbia in un primo momento cercato di attaccare il vicino palazzo della Borsa (pur essendo domenica, era un giorno lavorativo nell’islamico Iraq, ndr). Respinto dagli uomini della sicurezza e scattato l’allarme, il gruppo terrorista, si dice formato da sei o otto uomini, e probabilmente neppure iracheni perché parlavano l’arabo classico, ha puntato sulla vicina chiesa. Facendosi annunciare, pare, dall’esplosione di un’autobomba. Fonti di stampa hanno raccontato che i preti a questo punto hanno cercato di radunare i fedeli in sagrestia nella speranza di proteggerli. Ma sono stati presi in ostaggio. Un un terrorista dopo avere spalancato la porta ha lanciato nella stanza una bomba a mano. Prima dell’irruzione delle forze di sicurezza, la battaglia sarebbe addirittura durate diverse ore. Gli Stati Uniti hanno negato la loro partecipazione al blitz finito nel sangue. Un portavoce militare a Baghdad ha parlato di «consulenti» che erano presenti sul posto, ma non sono intervenuti. Una versione che non coinciderebbe con alcune testimonianze di sopravvissuti che dicono di essere stati salvati direttamente dai marine. Per il portavoce Usa dell’esercito, il colonnello Eric Bloom, che ha parlato al canale inglese di al-Jazeera, il grave fatto di sangue sarebbe «una rapina di autofinanziamento finita male». Claudio MoniciL'EGITTO RESPINGE L'ULTIMATUMNessuna compromissione. E nessuna pressione. L’Egitto respinge l’ultimatum di 48 ore lanciato da al-Qaeda per la «liberazione» di due donne, Camilia Shehata e Wafa Constantine, che secondo le deliranti accuse dei terroristi sarebbero ostaggio della chiesa copta. A diffondere la richiesta era stato lo Stato islamico in Iraq, responsabile dell’attacco sferrato domenica sera alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad. «L’Egitto rifiuta categoricamente di vedere il suo nome mischiato in atti criminali di tal genere», ha affermato in una nota il ministero degli Esteri, esprimendo «una forte condanna» per quanto avvenuto nella capitale irachena. Secondo quanto riferito dal sito di monitoraggio Site, i terroristi hanno fatto sapere in un comunicato di aver agito per aiutare «le sorelle musulmane imprigionate nei monasteri degli infedeli nelle chiese dell’idolatria in Egitto». Camilia Shehata e Wafa Constantine sono le mogli di due preti copti egiziani. La prima sparì per alcuni giorni nel luglio scorso ma la polizia riuscì a ritrovarla e riportarla a casa; la chiesa copta spiegò che non era stata rapita e che si era allontanata spontaneamente da casa. La vicenda, tuttavia, suscitò le proteste dei musulmani, secondo cui Camilia si era volontariamente convertita all’islam. A dar fuoco alle polveri, inoltre, un’immagine, probabilmente ritoccata, in cui la donna compariva avvolta in un niqab. La seconda scomparve invece nel 2004. Alcuni ufficiali governativi affermarono che la donna aveva intenzione di abbracciare la religione musulmana ma era stata impedita dalla famiglia. Una versione che la chiesa copta rifiuta categoricamente, affermando che non hanno mai abbandonato la religione cattolica. «Avevano lasciato le loro case per disaccordi familiari – ha precisato Samia Sidhom direttore editoriale di El Watani, storico settimanale dei copti d’Egitto – ma non vi è stata da parte loro alcuna conversione all’islam».Conferma giunta dalla stessa autorità sunnita di al-Azhar, ha chiarito la reporter. Da parte sua il vescovo della chiesa di Shubra, grande quartiere popolare al nord della captale egiziana, ha sottolineato che «la sicurezza dell’Egitto è forte e non succederà niente». La Chiesa, ha spiegato, non ha chiesto un rafforzamento della sicurezza di chiese, monasteri e capi religiosi cristiani. «È una questione per la sicurezza e non della Chiesa», ha osservato.
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