martedì 27 agosto 2013
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Colpiti dai cecchini. Come a Homs nel gennaio del 2012, come a Da­masco a maggio dell’anno scor­so. Anche l’attuale gruppo di osservato­ri delle Nazioni Unite, nella capitale si­riana per indagare l’uso delle armi chi­miche, non è potuto sfuggire allo stesso destino dei colleghi. L’attacco non ha im­pedito però il compimento della missio­ne: i 20 funzionari, illesi, sono riusciti in­fatti a parlare con personale medico lo­cale, raccogliere campioni e visitare i fe­riti coinvolti nel presunto bombarda­mento chimico del 21 agosto. E la mis­sione è stata tutt’altro che infruttuosa: gli esperti Onu hanno raccolto «elemen­ti di grande valore».
L’autorizzazione a recarsi sul luogo del­la strage era arrivata domenica sera dal­lo stesso presidente siriano Bashar al-As- sad. I funzionari sono quindi partiti ieri mattina dal centrale Four Seasons per essere condotti nella zona di Madmiyah. Poche ore dopo l’attacco dei cecchini, in cui uno dei veicoli è stato reso inagibile, il regime ha emanato un comunicato in cui ha accusato «forze terroriste». «Come facevamo a sparare sui convogli se non avevamo idea di dove sarebbero passa­ti », afferma un membro dell’Esercito si­riano libero raggiunto al telefono da Da­masco. La scelta del luogo delle ispezio­ni suscita poi altre perplessità: Mad­miyah è la località dove è stato registra­to il minor numero di morti (circa 70 se­condo fonti mediche locali), e non si tro­va nel cuore della periferia del Ghuta che ospita le zone più colpite: Zamalka, Ar­bin e Ayn Tarma.
Agli osservatori Onu è stato permesso comunque di incontrare il personale me­dico locale. Fatto confermato dagli stes­si attivisti siriani. Gli esperti hanno par­lato infatti con i medici della Mezzaluna Rossa dove sono state portate decine di persone che riportavano ancora sintomi successivi alla inalazione delle sostanze chimiche. Dai pazienti sono stati prele­vati campioni di sangue e di capelli. La prima conferma dell’uso di sostanze non convenzionali è arrivata comunque da Medici senza frontiere che sabato ha comunicato l’accertamento della morte di 300 persone dovuta a sostanze neu­rotossiche. Ed è proprio alla persistenza di agenti tossici gassosi, depositati pro­babilmente nei campi e nelle falde, che a Damasco si è sparso il panico per l’u­tilizzo dell’acqua. «Dal Ghuta provengo­no larga parte della nostra frutta e ver­dura – spiega una madre di quattro bam­bini nel quartiere popolare di Berzeh – non sappiamo più cosa dare da man­giare ai nostri figli e temiamo che anche l’acqua sia contaminata».
Sul paventato intervento militare internazionale la donna sembra racchiudere lo scettici­smo della popolazione intera: «Sono due anni che ne sentiamo parlare, non ab­biamo tempo per stare dietro a queste bugie». Un’ipotesi che sembra non convincere neanche il vescovo di Aleppo, Antoine Audo, che in un’intervista a Radio Vati­cana ha detto: «Si rischierebbe una guer­ra mondiale». Un presagio negativo con­fermato poi dal regime: «La Siria ha un’arma strategica contro Israele», ha ammonito Khalaf al-Muftah, portavoce del ministero dell’Informazione. È in questo clima di tensione che oggi gli os­servatori dovrebbero proseguire la loro missione e addentrarsi nel Ghuta.
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