sabato 14 agosto 2010
Viaggio nel Paese con il record di disoccupati che fino a cinque anni fa era considerato un modello: adesso i senza impiego sono il 20%.
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Muratori, carpentieri, camionisti, camerieri. Quest’anno 14.000 spagnoli faranno la valigia e partiranno per la Francia, per la stagione della vendemmia. Non è una novità: ci sono famiglie di agricoltori che emigrano temporaneamente verso i vigneti francesi da diverse generazioni. Quello che è cambiato, però, è il profilo dei vendemmiatori iberici: la crisi ha moltiplicato la precarietà e ha bruciato centinaia di migliaia di posti, spingendo soprattutto gli ex lavoratori dell’ex settore d’oro dell’economia spagnola – l’edilizia – a cercare alternative ovunque, anche nelle campagne francesi.La disoccupazione «ha toccato il fondo», disse il premier José Luis Rodriguez Zapatero lo scorso aprile: fu troppo ottimista. Più recentemente il presidente del governo ha ammesso che il tasso (pari al 20,09% della popolazione attiva, ovvero 4 milioni di persone) è «intollerabilmente alto». Tutti a casa: e non si fa solo per dire. Sono ormai 1,3 milioni i nuclei familiari spagnoli in cui tutti i membri – genitori e figli – sono senza lavoro. Una situazione insostenibile, che riguarda tutte le età, ma colpisce con particolare accanimento i giovani. Secondo uno studio dell’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro), la media dei ragazzi fra i 16 e i 25 anni disoccupati – a livello mondiale – è del 13%. La Spagna triplica questa cifra. Qui i giovani senza impiego sono il 42%, ovvero 871.000: il tasso più alto di tutta l’Unione Europea. Una «generazione persa» – secondo gli esperti dell’Ilo – che abbandona la speranza di entrare nel mercato del lavoro, dopo lunghi e inutili tentativi di trovare un impiego. Non solo: «Oltre il 30% dei ragazzi spagnoli ha un contratto inferiore a sei mesi», denuncia il sindacato Commissio Operaie. Fino a cinque anni fa, i vicini europei guardavano la Spagna come un modello, senza nascondere anche un pizzico d’invidia per un paese che in pochi decenni aveva fatto un incredibile balzo in avanti: infrastrutture moderne finanziate dall’Ue, programmi di sviluppo regionale coadiuvati dalla decentralizzazione e – soprattutto – milioni di nuovi posti di lavoro. «España va bien» dichiarava soddisfatto il premier José Maria Aznar (centrodestra) alla fine degli anni Novanta. Il governo Zapatero continuò a cavalcare una situazione economica straordinaria (almeno in apparenza) e non mancarono i motivi di orgoglio nazionale, come quando venne annunciato il sorpasso sull’economia italiana. In pochi anni la Spagna si trasformò in una destinazione interessante per i giovani europei, e non solo per gli studenti Erasmus innamorati di Barcellona. Ma al di là delle mode, la realtà cominciò a venire a galla con le denunce dei "milleuristi": ragazzi preparati – spesso laureati o addirittura con un master – destinati ad una busta paga non superiore ai 1.000 euro. Troppo poco per lasciare mamma e papà o magari mettere su una famiglia. A tutto ciò si aggiunse il problema del caro-casa, legato alla bolla immobiliare che per anni ha continuato a gonfiarsi senza tregua. L’esplosione di quella bolla e la recessione hanno cambiato le carte in tavola. Lo scorso luglio i dati della disoccupazione sono migliorati leggermente, come accade sempre d’estate: si tratta di posti stagionali legati al turismo. Ma il panorama resta preoccupante. La Spagna è uno dei Paesi in cui «si è verificato un aumento dell’inattività fra i giovani, durante la crisi», avverte l’Ilo. Un disoccupato su tre, nella zona euro, è spagnolo (29,9%). Tecnicamente, dopo 18 mesi, il Paese è uscito dalla recessione nel primo trimestre, con una modestissima crescita del Pil dello 0,1%, passato allo 0,2% nel secondo trimestre. Ma le prospettive a breve termine non sono positive. Lo stesso premier ha ammesso che nel terzo trimestre probabilmente le cifre non saranno altrettanto buone.  La crisi andrà per le lunghe, a quanto pare. Nel frattempo anche gli stranieri – ormai senza lavoro – hanno cominciato a fare i bagagli e tornare indietro, soprattutto in Sudamerica. Nel secondo trimestre hanno lasciato la Spagna 98.330 immigrati.
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