mercoledì 5 settembre 2012
A Chisimayo battaglia finale tra le milizie islamiche e la forza di stabilizzazione dell’Unione africana, con il rischio di una carneficina. Poco distante la macchina dei soccorsi umanitari internazionali è finalmente riuscita a fare ripartire l’agricoltura per 900mila persone.​
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Non andranno per il sottile i militari dell’Amisom. La forza della missione per la stabilizzazione della Somalia sta cingendo d’assedio la città portuale di Chisimayo, 520 chilometri a sudovest di Mogadiscio. Una guerra "africana" in piena regola. Niente prigionieri, per ora.Le immagini dei guerriglieri fondamentalisti al-shabaab che trascinano per le vie i cadaveri dei soldati dell’Unione africana, fanno da contrappunto alle istantanee dei profughi sfuggiti alla guerra e alla carestia e che, grazie alle operazioni di soccorso internazionale, hanno recuperato le forze e chiedono di poter tornare nei villaggi d’origine.Contraddizioni a cui il Corno d’Africa ci ha abituati. Tra gli applausi (non si sa quanto spontanei) i miliziani filoqaedisti espongono i corpi massacrati dei nemici. La folla si accanisce soprattutto sulle salme dei soldati somali. A essi, ai «fratelli che hanno tradito la legge islamica», viene riservato il trattamento peggiore. L’autenticità della barbarie, trasmessa via Internet dagli stessi miliziani, viene confermata dal comando dell’Amisom.Poco più in là, intanto, rinasce la speranza dei fuggiaschi. «Ero morto, sono rinato», esclama sorridendo Aden Yusef Kabey. Un anno fa di lui si potevano vedere solo vaghe sembianze umane. Gli occhi grandi dentro a un volto scarnificato dalla fame. Le dita sottili e immobili. Il fiato fiacco e rumoroso di chi ormai fatica anche a respirare. Avvolto in un panno blu fornitogli dall’Acnur, Aden Yusef temeva di aver vagato inutilmente per settimane. Come altre decine di migliaia aveva raggiunto il confine etiope. Pesava nemmeno 30 chili. Adesso, più del doppio. Merito dell’assistenza medica e della riabilitazione alimentare fornitagli nel campo di Dollo Ado. Finalmente Aden ritrova il coraggio di guardarsi allo specchio: «Sono anche un bel ragazzo», e scoppia in una risata contagiosa.A Chisimayo, invece, i convogli umanitari non arrivano. Gli al-shabaab sbarrano la strada e gli scontri sono serrati. L’Amisom, su suggerimento di "consiglieri militari" britannici, francesi e americani, voleva attrarre i guerriglieri all’aperto, lontano dai centri abitati. Al contrario, i miliziani restano in città sperando che i filogovernativi non corrano il rischio di fare un carneficina tra i 250mila residenti. Una guerra di nervi, scandita da azioni a sorpresa e continue provocazioni. «Stanno facendo di tutto per rallentare la nostra avanzata, ma non ci fermeranno», assicura con tono marziale il maggiore Cyrus Oguna, uno dei portavoce di Amisom. La città del Basso Giuba viene stretta in una morsa. Il reggimento keniano avanza da Sud mentre la marina di Nairobi attende l’ordine di far sbarcare la fanteria. I contingenti ugandesi e burundesi stanno ammassandosi a Nord e Nord-Ovest del perimetro cittadino. Per chi si troverà in mezzo non ci sarà scampo. «Siamo impegnati a rimuovere la bandiera nera simbolo di al-shabaab e alzare quella blu della Somalia», ha incalzato i suoi uomini un ufficiale burundese che ha spinto le prime linee fino a 15 miglia da Chisimayo.Le notizie arrivano anche nei campi profughi di Dollow e Dollo Ado, al confine tra Somalia ed Etiopia. «Ora voglio avere un futuro e ottenere il meglio dalla mia vita», racconta Aden Yusef Kabey. Quando riuscirà a tornare al villaggio, di motivi per darsi da fare ne avrà. C’è un Paese da ricostruire. Per ripristinare la capacità della produzione agricola, la Fao ha distribuito sementi di cereali, fertilizzanti e sta fornendo assistenza tecnica ai coltivatori. Oltre a quelli già consegnati sono in arrivo tonnellate di semi per far ripartire e migliorare la sicurezza alimentare di circa 150mila famiglie contadine, all’incirca 900mila persone. Attraverso un sistema di "cash for work" promosso dal capo della Fao Somalia, l’italiano Luca Alinovi, sono stati ripristinati o costruiti ex novo i canali per l’irrigazione. Gli agricoltori hanno ottenuto il saldo dei lavori svolti per il sistema idrico solo a opere ultimate, evitando di sciupare il denaro dei donatori. La copertura idrica è oggi di 51mila ettari di terre attraversate da 800 chilometri di condutture.L’emergenza riguarda anche gli allevamenti. La siccità dell’anno scorso ha ucciso centinaia di migliaia tra bovini, ovini, caprini e cammelli. Si stima che nel Paese vi siano 40 milioni di animali, che forniscono sostentamento all’80% dei somali.Decisivo è stato lo sforzo della Chiesa italiana che, attraverso le parrocchie, ha messo a disposizione della Caritas quasi 10milioni di euro per la realizzazione di progetti di sostegno alla popolazione e rilancio dell’economia locale. Mortalità e malnutrizione hanno cominciato a decrescere fino ai livelli precedenti la crisi alimentare. Oltre al milione di rifugiati nei Paesi vicini, più di 1,3 milioni di somali (su 9,5milioni di abitanti) sono sfollati all’interno del propri confini.Fame e malattie fanno un po’ meno paura. Ma il domani dipende ancora da come verranno usate le armi.
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