«Erdogan ci aveva promesso "zero problemi con i vicinI", ma oggi siamo ai ferri corti con tutti i paesi confinanti, Iraq, Iran, Armenia, Grecia, Cipro, e siamo sull'orlo della guerra con Damasco» tuona, mentre sorseggia un caffè turco, Ahmet, giovane studente alawita di Antiochia. Qui, sulla frontiera con la Siria, molti sono convinti che la guerra sia a un passo. La tensione cresce e così la rivolta contro la politica muscolare sulla crisi siriana del premier islamico sunnita Recep Tayyip Erdogan, che ha sposato la causa dei ribelli sunniti rompendo l'amicizia personale con l'alawita Bashar al Assad. Gli ultimi sviluppi fanno paura. Due turchi sono stati rapiti in Libano dai miliziani sciiti dell'Hezbollah, vicino al regime di Damasco, per ritorsione contro il sequestro in Siria di un loro compagno da parte dei ribelli. Ankara ieri ha chiesto ai propri cittadini di non andare in Libano. Il Paese dei Cedri potrebbe essere il primo contagiato dalla guerra siriana. Altri turchi, simpatizzanti di Al Qaida, sono stati uccisi dalle forze governative ad Aleppo. E sul lato turco della frontiera, dove gli alawiti sono maggioranza, continuano ad arrivare migliaia di profughi e disertori siriani sunniti. Un cocktail potenzialmente esplosivo. Ankara moltiplica le manovre militari sul confine e minaccia di intervenire in Siria per impedire che il nord curdo diventi un rifugio per i separatisti curdi del Pkk, che vogliono l'autonomia del Kurdistan turco. Ma i sondaggi mostrano che non solo gli alawiti della frontiera ora temono una guerra. Il 60% dei turchi non appoggia la linea dura di Erdogan sulla Siria e non vuole un coinvolgimento militare.Al valico di frontiera di Reyhanli, vicino a Antiochia, intanto continua ininterrotto il flusso dei profughi in arrivo,per lo più donne sunnite velate e minori. Vengono da Aleppo e Idlib. Ora sono quasi 70mila nei campi turchi. Nelle ultime ore è arrivato anche un altro generale disertore, subito trasferito al campo di Hacipasa, a 20 chilometri da Antiochia, rigorosamente off limits per i giornalisti. Un mare di tende bianche allestito in mezzo ai campi e circondato da una barriera in acciaio. "No Press!", intima al cronista che si avvicina il soldato che difende la porta d'ingresso blindata. Qui vivono gli ufficiali disertori con le famiglie, circa 3mila persone. E daqui i 27 generali passati in Turchia secondo l'Esercito siriano libero (Esl) disegnano la strategia militare dei ribelli. Per lo meno di quelli che accettano di fare capo all'Esl. Gli "stranieri" - in parte vicini a Al Qaida - agiscono per conto proprio. Ma la presenza sempre più numerosa di rifugiati, disertori e ribelli protetti dal governo turco suscita le proteste crescenti della popolazione locale alawita (un ramo 'liberal' dello sciismo). Gli ospedali di Antiochia sono pieni di ribelli siriani feriti. Il servizio sanitario è sull'orlo del collasso. Gli esuli siriani costano alla Turchia 300 milioni di dollari e gli aiuti promessi dall'estero non arrivano. "Non ci amano molto qui, ammette Brahim, un giovane arrivato da Aleppo. Per evitare problemi ho tolto il braccialetto con la scritta 'Siria liberà: mi guardavano male".