Da una scritta contro Assad tracciata sul muro di un liceo ad una guerra civile che ha provocato 220 mila morti, 3 milioni e 800 mila profughi dalla Siria nei Paesi limitrofi, quasi 8 milioni di sfollati che porta a poco meno di 12 milioni (su una popolazione di 23 milioni) le persone uscite drammaticamente dalle proprie abitazioni, la distruzione delle infrastrutture
e l'invasione straniera di jihadisti sunniti e milizie sciite
che si combattono su fronti opposti. È questa la traiettoria
che in quattro anni ha portato la Siria a cadere nel buco nero
di un conflitto di tutti contro tutti di cui non si intravvede
la fine.
La scintilla e la represssione Era il 15 marzo del 2011 quando a Daraa, nel sud del Paese,
si tenne la prima manifestazione contro il regime, dopo che il
mese prima un gruppo di studenti erano stati arrestati con
l'accusa di avere tracciato con lo spray slogan anti-regime. Un
fatto senza precedenti nei 40 anni al potere della famiglia
Assad. La reazione delle autorità di Damasco fu durissima. Nel
sangue vennero represse anche successive manifestazioni in altre
città, fino a quando l'opposizione cominciò a fare ricorso alle
armi e i primi militari disertori fondarono l'Esercito libero
siriano (Els).
Da allora è stato un vortice di violenza che sembra non dover
avere fine.
Il regime di Assad ancora in sella Nonostante l'ingiunzione lanciata fin dall'estate di
quell'anno ad Assad dal presidente americano Barack Obama e
dalla Ue perché lasciasse il potere, il regime è riuscito a
tenersi in sella grazie alla fedeltà della maggior parte delle
forze armate e all'appoggio dei suoi due grandi alleati, la
Russia e l'Iran, anche se attualmente controlla con sicurezza
solo una parte del territorio: da Damasco, attraverso la regione
centrale di Homs, fino alla costa mediterranea, dove sono le
roccaforti degli Assad. Nel nord Aleppo, quella che era una
splendida città capitale economica e commerciale della Siria, è
devastata dai combattimenti che da due anni e mezzo oppongono
forze lealiste e ribelli. Più a est lo Stato islamico impone la
sua versione oscurantista della Sharia nelle province di Al
Hasakah e di Raqqa, dove nel luglio del 2013 è scomparso il
padre gesuita romano Paolo Dall'Oglio. A sud, presso il confine
con la parte del Golan occupato da Israele, proseguono gli
scontri con gruppi islamisti e il Fronte al Nusra, la branca
siriana di Al Qaida, mentre consiglieri iraniani e milizie
sciite libanesi di Hezbollah appoggiano le forze lealiste.
Speranze di pace deluse Una conferenza di pace organizzata all'inizio del 2014 a
Ginevra è fallita dopo due sessioni e l'estate successiva il
mediatore dell'Onu e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi, ha
gettato la spugna, come aveva fatto prima di lui l'ex segretario
generale Kofi Annan. Il nuovo inviato speciale, il diplomatico
italo-svedese di lungo corso Staffan de Mistura, sta cercando di
favorire un dialogo che parta da obiettivi modesti, come tregue
locali temporanee, a cominciare da Aleppo. Ma anche questa
iniziativa sembra trovare notevoli difficoltà.
Ma Assad, che nell'estate del 2012 sembrava prossimo alla
sconfitta, con i combattimenti arrivati quasi al centro della
capitale, sa di potere contare ormai sulla paura dell'Occidente
per l'Is, che sembra spingere diverse capitali europee a
cercare di riallacciare un dialogo con Damasco, visto come
possibile alleato nella lotta ai jihadisti.
13mila morti per torture L'ong Osservatorio
nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) ha detto di
essere riuscito a documentare i casi di quasi 13.000 detenuti
morti nelle carceri del regime per le torture subite. Ma quando
le atrocità non sono riprese in video è impossibile che scuotano
le coscienze come fanno le immagini degli ostaggi occidentali
decapitati dai fanatici dell'Isis.