Un miliziano curdo dell'Ypg ferito: la foto di Mauricio Lima è tra le premiate al World Press Photo AwardUn rischio che Erdogan non vuole permettersi, perciò prima dal proprio confine e ora sul suolo siriano sta bersagliando le loro posizioni, scatenando le proteste internazionali. Non è un caso che la «fascia di sicurezza» di 10 chilometri invocata dal governo di Ankara ricada proprio nel perimetro presidiato dai curdi. Abdullah si tiene aggiornato via Internet, agganciandosi al segnale che arriva dal territorio turco. Avrà trent’anni, non dice da dove viene né che vita faceva prima. Parla arabo e francese ed è meglio non fargli troppe domande. È di guardia sul costone che discende verso Latakia, a un paio di tornanti dall’autostrada A1, quella che conduce ad Aleppo ma è disseminata di trappole. L’aranceto non ha un solo frutto, neanche marcio. Li hanno colti i profughi in fuga e i miliziani di passaggio. Intorno non c’è anima viva, e da queste parti non è solo un modo di dire. Le poche case di campagna, quelle che una volta erano decorate con maioliche smaltate a mano, con i cortili che profumavano di limoni e gelsomini, sono disabitate e mezze diroccate. Perfino avvicinarsi è pericoloso. Non perché qualcuno possa essersi asserragliato dietro a una finestra, Abdullah se ne sarebbe accorto. Ma perché i bombardamenti delle settimane scorse hanno lasciato in giro le cluster-bomb inesplose, i micidiali ordigni a grappolo scaricati dai bombardieri russi che stanno spianando la strada alle guarnigioni assadiste. Bombe che anche quando fanno cilecca diventano devastanti mine antiuomo. Abdullah, che indossa vecchie scarpe da ginnastica e jeans che hanno visto tempi migliori, ci aspettava appena dopo la dogana controllata solo dai turchi, che non vogliono neanche vedere i documenti. «O siete pazzi o siete dei nostri», dice il gendarme. Il check point è solo una formalità. Chiunque vada di là con cattive intenzioni, per Erdogan è il benvenuto. Non sempre le brigate qaediste federate nel fronte al-Nusra distinguono tra spie e giornalisti. Ma Abdullah, che nella bisaccia porta due tablet e un paio di rivoltelle, ha fatto le sue verifiche incrociando articoli online e profili sui social network. Tutto coincide, e per qualche ora può raccontare una verità parziale come tutte le verità di chi è in battaglia. L’anticipo di primavera, con il sole che già incendia le canne dei kalashnikov e le parole d’odio dei leader coinvolti, non concede altro tempo nella guerra del tutti contro tutti, la peggiore possibile. Un rompicapo: i russi contro il Daesh; i ribelli qaedisti contro Assad; il Califfato contro Assad ma anche contro curdi e qaedisti; i turchi contro la coalizione assadista; gli impavidi curdi che a Kobane – con armi fornite da Europa e Usa – hanno scalzato gli uomini del Califfo, qui in Siria sostengono il dittatore guerreggiando contro Daesh e gli anti-Assad; a sud gli Hezobollah libanesi, armati dall’Iran, cannoneggiano gli avversari del raìs. Un risiko mediorientale che sfianca anche i mediatori più scaltri e che non sembra avere vie d’uscita, se non una Siria cannibalizzata dai guerrafondai.
Miliziani in azione notturna contro i curdi oltre le linee di confine . La controffensiva nell'area di Azaz per circondare l'enclave ribelle. Reportage di Nello Scavo
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