lunedì 23 luglio 2012
Il portavoce del ministro degli Esteri conferma che il regime sia in possesso di armi non convenzionali ma «non le impiegherà contro i suoi civili». Preoccupazione in Israele. Secondo le stime delle Ong negli ultimi mesi sono morte almeno 19mila persone.
Orrore a Damasco, cristiani uccisi
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Il regime siriano, sempre più isolato a livello internazionale, agita lo spettro delle armi chimiche sia pure con l'assicurazione che le utilizzerebbe solo in caso di intervento militare straniero. "La Siria non userà armi chimiche o altre armi non convenzionali contro i suoi civili e le impiegherà soltanto nel caso di un'aggressione esterna", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri siriano, Jihad Makdissi, nel corso di una conferenza stampa a Damasco.Di fatto è la prima ammissione del governo siriano di essere in possesso di un arsenale chimico: finora la Siria non ne aveva mai fatto menzione, pur essendo tra gli otto Paesi al mondo che non aderiscono alla Convenzione sulle armi chimiche del 1997, insieme ai vicini Egitto e Israele (che l'ha firmata ma non ratificata)."Qualsiasi scorta di armi chimiche che ci possa essere, non sarà mai, mai usata contro il popolo siriano", ha insistito il portavoce per fugare i timori espressi da più parti di un'escalation della repressione interna. "Saranno i generali a decidere se e quando utilizzarle", ha aggiunto. Domenica gli Usa avevano avvertito che avrebbero "chiamato a risponderne" qualsiasi dirigente siriano coinvolto nella diffusione o nell'impiego di armi chimiche e Israele aveva espresso il timore che armi di questo tipo possano finire in mano ai miliziani sciiti di Hezbollah.
Preoccupazione a Tel Aviv. Israele è preoccupato per il destino delle armi chimiche della Siria, ma interverrà solo di fronte a una "minaccia diretta". Lo ha assicurato il presidente, Shimon Peres, in un'intervista alla Cnn. Peres ha peraltro confermato l'allarme - in caso di collasso del regime di Damasco - per il rischio legato al potenziale trasferimento di armi pesanti o chimiche dell'arsenale siriano agli integralisti sciiti libanesi di Hezbollah o all'Iran, entrambi radicalmente ostili allo Stato ebriaco ed entrambi finora alleati di Bashar al-Assad. Prospettiva che costituirebbe un pericolo per Israele, ma anche per "molti altri Paesi", ha sottolineato l'anziano presidente.Il timore principale israeliano è che armi chimiche o missili possano finire agli Hezbollah, a ridosso del confine settentrionale dello Stato ebraico; ma anche che possano essere razziate da gruppi terroristici vicini ad Al Qaida o comunque inseriti nella galassia estremista sunnita, ritenuti ben presenti nelle file dell'opposizione siriana. Continuano intanto i combattimenti nelle principali città della Siria. Questa mattina all’alba si è ripreso a sparare ad Aleppo, Damasco, Daraa e Homs.  Secondo quanto denunciato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione con base a Londra, nella giornata di domenica, le forze del regime siriano hanno torturato e "giustiziato sommariamente" almeno 23 persone a Damasco. Non è chiaro però se si tratti di ribelli o civili. Secondo il presidente dell'ong, Rami Abdel Rahman, "sedici persone, per la maggior parte sotto i 30 anni, sono state giustiziate con colpi alla testa a Mazzeh", quartiere occidentale della capitale. Altri sette sono stati sottoposti ad esecuzioni sommarie nella zona nordorientale di Barzeh.Tragico bilancio. Dall'inizio della rivolta siriana sono morte nel Paese mediorientale oltre 19mila persone,secondo il bilancio delle ong. "Almeno 19.106 persone, la gran parte civili, hanno perso la vita", ha affermato da Beirut Rami Abdel Rahman, portavoce dell'Osservatorio dei diritti umani. Un altro generale siriano, intanto, è riparato in Turchia, portando a 25 il numero di generali disertori. Lo ha riferito una fonte diplomatica turca, che è diventata ormai un rifugio non solo di molti ufficiali in fuga dall'esercito regolare siriano ma anche di 40mila profughi dal Paese confinante.
L’intensificarsi delle violenze spinge sempre più persone alla fuga. Oggi il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki ha dato l'ordine alle autorità di frontiera irachene di consentire ai rifugiati siriani l'ingresso nel Paese. Lo ha riferito un alto responsabile di frontiera.  Il provvedimento riguarda tutti i posti di frontiera iracheni con la Siria.
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