Si continua a lottare contro il tempo in Somalia, il Paese del Corno d’Africa maggiormente affetto dalla peggiore crisi umanitaria degli ultimi sessant’anni. Almeno un quarto della popolazione somala è ormai costituita da sfollati in cerca di cibo, cure mediche e un luogo sicuro lontano dagli scontri tra soldati governativi e ribelli. «Nel centro-sud della Somalia l’esigenza primaria è l’accesso immediato al cibo», scrive l’agenzia
Fides citando un recente rapporto di Caritas Somalia, l’organizzazione umanitaria che sta coordinando gli aiuti delle Caritas di tutto il mondo e di altre organizzazioni per gli sfollati somali in Somalia, Etiopia e Kenya. «Le persone colpite dalla siccità hanno urgente necessità di acqua potabile, servizi igienici, assistenza sanitaria, protezione, riparo e sostentamento. Il Programma alimentare mondiale (Pam) e alcune agenzie umanitarie sono stati espulsi dal centro-sud della Somalia negli ultimi due anni – si legge nel rapporto –. Questo ha lasciato un vuoto enorme in termini di fornitura di cibo». Il tasso di mortalità e il livello di mortalità – secondo la Caritas – sono paragonabili a quelli del 1992, quando morirono ben 250mila persone. Anche se centinaia di migliaia di persone restano a rischio per via della fame e della guerra, gli aiuti umanitari della comunità internazionale cominciano ad arrivare e ad alleviare un po’ dell’immenso dolore. «La Francia ha deciso di portare da dieci a trenta milioni di euro i suoi aiuti per l’emergenza nel Corno d’Africa – ha dichiarato ieri la portavoce del governo, Valerie Pecresse – . I ministeri degli Esteri e della Difesa garantiranno il sostegno logistico dell’aiuto». Secondo l’Unicef, un’agenzia Onu che opera in Somalia attraverso molteplici organizzazioni umanitarie locali, gli aiuti stanno raggiungendo anche le zone più remote. «La maggior parte delle nostre forniture alimentari hanno già raggiunto i bambini a Mogadiscio – ha confermato ieri Rozanne Chorlton, rappresentante Unicef per la Somalia –. Inoltre siamo riusciti a operare anche nelle regioni di Gedo, Middle Juba, Lower Juba, Baia e Lower Shabelle nel sud del Paese». Una nota dell’agenzia prevede che riuscirà a distribuire aiuti a «150mila famiglie al mese, per i prossimi due mesi, mentre nell’area K-50, nel Middle Shabelle, 7mila nuclei familiari di sfollati hanno già ricevuto razioni di miscele alimentari di mais e soia». E continua il comunicato: «L’Unicef e i suoi partner stanno inoltre lavorando per fornire alimentazioni nei luoghi dove gli sfollati sono in arrivo e garantire a 8mila persone tre pasti al giorno». Sotto pressione dall’intervento internazionale, anche l’Unione Africana sembra iniziare a muovere qualche passo per il popolo che rappresenta. «Ho chiesto ai leader del continente africano di pensare a come contribuire per alleviare le sofferenze della popolazione», ha confermato Erasmus Mwencha, vice-capo dell’Unione Africana che ha annunciato una riunione d’emergenza nella capitale etiopica, Addis Abeba. Secondo l’Onu, sono almeno 12 milioni le persone che in Somalia, Kenya, Etiopia, Uganda e Gibuti, stanno subendo le devastanti conseguenze di questa crisi, che non è solo alimentare ma anche politica. Decine di migliaia di civili sono già morti.