domenica 15 novembre 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Pioggia di aiuti o micro-progetti più mirati? Grandi politiche di trasformazione sociale o mini realtà in cambiamento? Non esiste una ricetta univoca per combattere la denutrizione. Il segreto sta nel lavoro «in rete», quando le organizzazioni non governative lavorano a fianco del governo e delle università, spiega Ana Lydia Sawaya, biologa ed esperta alimentarista, direttrice del Cren, il “Centro di recupero ed educazione alimentare” che cura i bambini denutriti a San Paolo e collabora con il governo brasiliano nella lotta contro la fame. Una realtà cattolica nata 16 anni fa, che è diventata un esempio di efficienza riconosciuto sia a livello locale sia internazionale. Il Cren aiuta in totale 8mila bambini a San Paolo. Di questi circa 2mila sono in una situazione di denutrizione più grave e hanno bisogno di assistenza in ambulatorio o tramite day hospital. Secondo l’Unicef questo centro è ormai un riferimento nazionale per combattere il problema della denutrizione infantile. Lo scorso anno il presidente Luiz Inacio Lula da Silva consegnò al Cren il premio Odm per il contributo al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Sawaya è anche docente all’Università federale di San Paolo ed ha pubblicato diversi libri. Funzionano di più i piccoli progetti o le grandi campagne a tappeto?Se gestite bene, funzionano entrambe le formule. I progetti più piccoli sono fondamentali perché rispecchiano una conoscenza reale delle necessità di una determinata situazione. Ma da soli non possono arrivare quasi a nulla, se non funziona la partnership fra Ong, governo e università. Le istituzioni regionali più piccole sono necessarie perché sono al corrente dei problemi veri del contesto. Ma è il governo che poi fa le leggi, che gestisce finanziamenti, dà pubblicità alle iniziative che hanno successo. Se il governo lancia soltanto interventi generali a tappeto, rischia di non arrivare alle realtà più concrete. Ad esempio qui in Brasile non funzionerebbe mai un programma alimentare per promuovere cibi meno costosi, ma con una sola dieta per il nord e il sud: due regioni dove non si trovano gli stessi prodotti.Chi arriva più direttamente ai risultati: una grande organizzazione o una Ong?Le ong funzionano, perché sono presenti nel territorio. La Fao spesso ha grosse difficoltà perché non conosce profondamente i diversi contesti del mondo. Infatti è un organismo che non distribuisce molto denaro. L’utilità della Fao è più di tipo normativo e formativo, riguarda lo sviluppo della metodologia e la diffusione delle iniziative che funzionano meglio.Non esistono ricette magiche contro la denutrizione. Eppure ci sono progetti, come il vostro a San Paolo, che funzionano realmente. Cosa serve?Serve la conoscenza dei problemi concreti delle famiglie della zona. Servono ricerche sui problemi dell’area. Serve un lavoro in rete, mai isolato. Serve che le famiglie dei bambini denutriti vengano coinvolte nel lavoro educativo delle Ong. Il più grande sbaglio di alcune grandi organizzazioni è inviare nel paese personale che non conosce né la realtà né la lingua locale. Hanno una marea di soldi, ma non è una questione di denaro. Mancano le conoscenze, non c’è lavoro educativo con le famiglie, a volte i progetti sono stati preparati altrove.Qual è, dunque, il fattore chiave di un progetto come il vostro contro la denutrizione?Lavorare insieme alle famiglie. Conoscere il terreno, la realtà concreta. Indagare sistematicamente la situazione: servono dati quantitativi e qualitativi. Le risorse vanno utilizzate bene.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: