Il signor Kruchnev è un uomo di indole paziente. Non sa ancora che a Sinferopoli si è registrato il primo morto fra le forze armate ucraine e probabilmente ha altri pensieri, certo non quello di un’escalation militare fra Kiev e i 20mila soldati russi presenti in Crimea. Kruchnev è il ventiseiesimo della fila. Come lui, nel giorno della firma dell’annessione alla Russia, numerosi abitanti di Sebastopoli hanno atteso che terminasse la chiusura degli uffici pubblici di lunedì per precipitarsi in banca. Ciascuno con la sua non dissimulata ansia nel cuore. La coda ai bancomat non serve quasi più: sono tutti esauriti, Unicredit li ha messi fuori servizio, Paribas ne ha in funzione ancora pochi. «Prelevano quello che possono – confida Mikhail, che il “pieno” di liquidità deve averlo già fatto – perché non si sa cosa potrà accadere ». Cosa chiederà all’impiegato quando sarà il suo turno, signor Kruchnev? «Come minimo di cambiarmi subito le mie grivnie in rubli, e poi co- munque di darmi dei contanti. Ci sono problemi sulle carte di credito, molti le rifiutano, in alcuni posti non funzionano, quasi nessuno sa dire se convenga pagare ancora in grivnie piuttosto che in rubli...». Con una delle sue collaudate giravolte, Putin ha disposto che il rublo diventi la moneta corrente nella Crimea russificata già da aprile e non dal gennaio 2016, come vanamente promesso alla vigilia del referendum. Non solo: entro un mese tutti gli abitanti della Crimea che intendono mantenere la cittadinanza ucraina dovranno renderlo noto, altrimenti acquisteranno automaticamente quella russa. E ora tutti fanno i conti, un silenzioso ma febbrile pallottoliere che rumina numeri e previsioni, contratti, acconti, caparre, debiti, crediti da riscuotere. Varranno ancora? E quanto? A due giorni dall’esaltante festa di piazza che salutava con un boato liberatorio il ritorno della Crimea nelle braccia di Mosca, Sebastopoli – città perla della penisola, sede storica della flotta russa del Mar Nero – si sveglia disorientata e dubbiosa. Mentre marinai russi si fanno ritrarre sotto la statua dell’ammiraglio Nakhimov, nei caffè la gente bisbiglia dolcemente il proprio sgomento. E fa conteggi febbrili. Ma anche a Mosca il pallottoliere è rovente. I conti non tornano. O meglio, il conto dell’annessione della Crimea è molto più alto di quei 3 miliardi di dollari annui necessari per le spese sociali, la copertura del deficit di bilancio della penisola e le infrastrutture, compresa la costruzione dell’annunciato ponte sullo stretto di Kerch. Cifra che il vicepremier Dmitri Kozak ha liquidato con sfastidiata sicumera, scordandosi di computare ben altre voci che l’Anschluss comporterà. «L’elettricità e l’acqua potabile che un tempo forniva l’Ucraina, per cominciare – dice Abel Gennadiyan, direttore di un piccolo istituto bancario di Sebastopoli – e i costi di manutenzione per finire, senza contare il destino di Chornomornaftohaz e la Ukrtransgaz, che Gazprom potrebbe essere costretta ad acquistare». Stando al bene informato Moskovskij Komsomolets, l’annessione della Crimea costerà alla Russia almeno 20 miliardi di dollari nei prossimi tre anni. Ma analisi convergenti di svariate società – Standard & Poor’s in testa – prefigurano una fuga di capitali dalla Russia di almeno 50 miliardi di dollari e contestualmente una crescente difficoltà da parte di banche e conglomerate di ottenere prestiti dall’estero.
A Sinferopoli però la perfezione di quell’operazione secessione conclusa con grande vanto di Mosca senza nemmeno sparare un colpo si è infranta. Ieri il sottufficiale Kakurin è stato ucciso e un capitano e un altro soldato dell’esercito ucraino ferito nella caserma del XIII centro fotogrammetrico militare della capitale. Secondo il portavoce militare Vladislav Seleznyov a uccidere e ferire i tre soldati sarebbero stati uomini dal volto coperto. Le forze armate ucraine presenti in Crimea sono tutt’ora consegnate nelle varie caserme sotto il controllo della milizia e delle onnipresenti unità senza mostrine né segni di riconoscimento che hanno preso il controllo della penisola nelle scorse settimane. «Il conflitto è passato dalla fase politica a quella militare – ha denunciato da Kiev il premier ucraino Arseniy Yatsenyuk –: I soldati russi hanno cominciato a sparare contro i militari ucraini, e questo è un crimine di guerra». Immediate le contromisure prese da Kiev: «Per la loro difesa e per proteggere le loro vite, i soldati ucraini nella repubblica autonoma di Crimea sono stati autorizzati ad usare le armi», recita una nota del ministero della Difesa. «Abbiamo ordine di sparare a vista su chiunque tenti di entrare qui», dice il tenente colonnello Igor Mamciur, barricato nel Comando della Marina ucraina in pieno centro a Sinferopoli.