Bibi Hanifatah è stata rapita mentre accompagnava la figlia a scuola. Ahmad lo hanno mutilato davanti ai suoi studenti. A Shamsia non è andata meglio: un gruppo di motociclisti col turbante gli ha deturpato il volto versandogli dell’acido in presenza delle sue compagne di liceo. Contro l’istruzione, i taleban non hanno mai abbassato le armi. Accade in un Paese dove su 8,4 milioni di bambini (un terzo dei 28 milioni di abitanti) più di un milione lavora già in tenera età e solo una minoranza frequenta le poche e disadorne aule scolastiche. La denuncia è contenuta nel rapporto sull’Accesso all’istruzione in Afganistan redatto dall’Aihrc, la Commissione indipendente per i diritti umani con base a Kabul. Un campionario di orrori e denunce che sta mettendo in allarme i responsabili della 'ricostruzione'. Su oltre 8milioni di minorenni «ci sono circa 6,5 milioni di bambini costretti a rinunciare all’educazione scolastica», ha recentemente ammesso il viceministro agli Affari Sociali, Wasel Nur Momand. Scuole femminili incendiate, ragazze e famiglie minacciate, studentesse sfregiate. I taleban non si fermano. E il sequestro delle mamme è l’ultima arma, come ha denunciato Asfi Nang, portavoce del ministero della Pubblica Istruzione. Attualmente 457 scuole in sei province sono state chiuse a causa delle minacce degli estremisti, «impedendo a 200mila studenti, ragazze e ragazzi – spiega Nang –, di ottenere una adeguata educazione». Gli unici istituti 'ammessi' dai radicali islamici sono le madrasse, le scuole coraniche vivaio di fondamentalisti. Secondo l’Aihrc, sono anche altre le ragioni che impediscono di affrontare un percorso di studi. A cominciare da questioni pratiche. «Il 10,4% dei ragazzi intervistati – si legge nel rapporto ottenuto da Avvenire – ha dichiarato di non essere in grado di continuare a recarsi a scuola a causa della distanza». Il 45% dei bambini impiega nel tragitto casa scuola almeno un’ora al giorno. Secondo la Commissione per i diritti umani, circa il 60 per cento delle scuole si trovano, in media, ad almeno tre chilometri dalle abitazioni degli studenti, il 27% addirittura oltre i 4 chilometri. È davvero difficile immaginare che un genitore consenta ad un bimbo di 6 anni di percorre a piedi o in bicicletta otto chilometri al giorno con il rischio di finire nel mezzo di una battaglia o nel mirino dei fanatici. Famiglie decimate, orfani, centinaia di migliaia di mutilatini vittime dei campi minati. Decenni di conflitti lasciano in eredità uno scenario sociale disastrato. Non a caso «l’8,7% delle ragazze e il 18,7% dei ragazzi ha dichiarato di aver lasciato la scuola perché non hanno genitori o altri parenti che possono prendersi cura di loro». Le imboscate dei taleban e le carenze infrastrutturali sono soltanto alcuni degli ostacoli. L’arretratezza culturale degli adulti è l’altra faccia della violenza fondamentalista. «Di tutte le ragazze intervistate – spiegano dall’Airhc –, il 25,7% di quante hanno lasciato gli studi ha detto che le loro famiglie vietano loro di continuare a frequentare le lezioni, perciò devono rinunciare ad avere un’istruzione». Colpa anche dell’arcaica tradizione dei matrimoni combinati, con le bambine concesse in sposa quando invece dovrebbero ancora occuparsi di bambole e abbecedario. «Se non le troviamo un marito adesso – hanno spiegato molti padri agli operatori di Aihrc –, quando saranno più grandi non troveranno un uomo disposto a pagare una capra per sposarsela». La povertà è l’altro grande alleato degli estremisti. Il 44% dei ragazzi contattati ha dichiarato di non disporre di tutti libri necessari e il 6% non possiede alcun testo scolastico. Le condizioni degli istituti sono poi di estrema precarietà. Solo il 55% degli studenti trova ad attenderlo un banco e una sedia, il 40% deve accontentarsi di incrociare le gambe su tappeti e circa il 5% siede sulla nuda terra. Del resto un quarto dei ragazzi frequenta scuole ospitate in tende (13,2%), all’aperto (5,6%) oppure sotto un albero (5,7%). Tra i fortunati che possono dire di frequentare una scuola fatta di mattoni, il 26% deve fare a meno di servizi igienici, utilizzando latrine all’aperto. Negli anni in cui i taleban sono stati al potere (1996-2001) le scuole femminili erano state bandite. L’imposizione del burqa non è stato che il simbolo più visibile di una sopraffazione più antica. Il risultato è che oggi le docenti sono meno di 40mila su 142mila insegnanti. La grande maggioranza delle maestre lavora nelle aree urbane, per questa ragione il 14,7% delle ex studentesse dicono di essere state costrette dai parenti a lasciare la scuola «perché non c’erano insegnanti donne». Per chi resiste il rischio è altissimo. La settimana scorsa due maestre pachistane di Khar, nell’area tribale al confine tra Pakistan e Afghanistan, sono state massacrate al termine delle lezioni. I guerriglieri le hanno attese fuori della scuola crivellando di colpi il risciò a motore sul quale stavano tornando a casa. Il New York Times , commentando le cattive notizie che arrivano dal fronte afghano, ha coniato uno slogan: «Più scuole, meno truppe». Con quello che costeranno i 40mila militari Usa di rinforzo a Kabul «potremmo alfabetizzare 75 milioni di bambini in tutto il mondo», ha scritto il premio Pulitzer Nicholas D. Kristof. Da sola l’organizzazione non governativa Care gestisce 295 scuole con 50mila bambine, «e neanche una è stata chiusa dai taleban». Solo così si «può contribuire a sviluppare un circolo virtuoso che promuove la stabilità e la moderazione», sostiene Kristof . Come dire: oltre che a inviare altri 40mila uomini, «perché non aprire e proteggere 40mila scuole?».