venerdì 20 aprile 2012
​Domenica al voto un Paese sfibrato dalla crisi. Per recuperare consensi, il capo dell’Eliseo punta sui temi cari alla sinistra, dalle tasse ai grandi gruppi a un’imposta sulle transazioni. Ma il socialista Hollande è favorito. Il presidente lo insegue girando le spalle alla Merkel.
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​«C'est la ouate», è l’ovatta. Lo cantava una famosa pop-star francese qualche anno fa ma il ritornello s’adatta perfettamente alla campagna elettorale che si chiude oggi. «Drole d’atmosphère», strano clima scrivono i giornali, e non si riferiscono alle condizioni meteorologiche di questa fredda e piovosa primavera che rende triste perfino la Ville Lumière. Le nubi più minacciose riguardano il futuro. Stando ad un’indagine pubblicata da Les Echoes, più di due terzi dei francesi sono convinti che la crisi economica durerà ancora a lungo, uno su cinque pensa addirittura che s’aggraverà. Poi ascoltano i discorsi degli sfidanti che si battono per conquistare l’Eliseo e si trovano immersi nell’ovatta. La gente è preoccupata perché la disoccupazione cresce ed il potere d’acquisto diminuisce ma i due principali candidati, il presidente uscente Sarkozy ed il leader socialista François Hollande, per intere settimane hanno discusso del costo della patente per i giovani, dello spostamento della data in cui si pagano le pensioni e di altre bagatelle insignificanti. Solo in questi ultimi giorni parlano d’economia ma lo fanno aggirando i problemi con slogan roboanti e spesso demagogici. In questo ha gioco facile François Hollande, favorito nei sondaggi che lo danno in testa al primo turno di domenica prossima e nettamente vincitore al ballottaggio. La sua unica preoccupazione sembra essere quella di non compiere passi falsi, contando sull’anti-sarkozysmo diffuso nella società. Non suscita grandi passioni, al contrario della sua ex moglie, Ségoléne Royal, che nel 2007 aveva galvanizzato i suoi sostenitori finendo però sconfitta dal leader dell’Ump. «Meglio vincere senza carisma che perdere con entusiasmo», nota sornione il candidato più quotato alla presidenza. Preannuncia una grande svolta in economia per abbattere «il muro della finanza», il nemico che impedisce la crescita. Intenzione lodevole che s’accompagna a promesse ad alto rischio, come la riduzione dell’età pensionabile, l’assunzione di 600mila nuovi insegnanti, la creazione di 150mila posti di lavoro, il tutto coperto da nuove tasse per il valore di 20 miliardi di euro.Hollande vuole anche rinegoziare il Patto fiscale all’insegna del rigore tedesco, approvato recentemente in sede europea. Mentre, per quanto riguarda i temi etici, Hollande, a differenza di Sarkozy – che ha richiamato i valori di una laicità positiva –, è deciso a inserire nella Carta costituzionale i vecchi principi della legge sulla laicità del 1905 ed è a favore dell’aborto e delle unioni omosessuali. Certo, in campagna elettorale nessuno evoca lacrime e sangue. Ma il brusco cambio d’immagine di Nicolas Sarkozy ha sorpreso tutti. Il presidente uscente che all’inizio del mandato aveva promesso «la rupture» in chiave ultra-liberista adesso scopre il garantismo sociale e critica la globalizzazione.Il suo vecchio slogan «chi lavora di più guadagnerà di più» si è realizzato al contrario: oggi anche in Francia, la seconda economia dell’eurozona, la gente ha meno soldi e meno lavoro. «Si guarda bene dal fare un bilancio del suo quinquennato, segno più che mai evidente di debolezza», afferma Claude Bartolone, responsabile delle relazioni esterne del candidato socialista. Sarkò ha deluso ma non si è arreso. «Ha lasciato i panni di presidente per vestire quelli di candidato», spiega il suo consigliere Patrick Buisson. Accanto ai classici temi della destra come la sicurezza interna e il controllo dell’immigrazione, tornati drammaticamente d’attualità dopo la strage di Tolosa, il candidato neo-gollista ha fatto proprie alcune idee di politica economica che sono tipiche della sinistra. Parla di un nuovo modello sociale, promette aumenti salariali da finanziare con una maggior tassazione sui grandi gruppi ed un’imposta sulle transazioni finanziarie. Al tempo stesso lancia l’allarme: se vincerà Hollande la Francia finirà come la Spagna e la Grecia. Eppure, a ben vedere, anche Sarkozy predilige i toni ovattati, evitando ogni accenno all’elevato debito pubblico ed alla criticità del sistema di welfare che in Francia incide sul Pil per il 57 per cento, la percentuale più alta di tutto il continente. L’unico candidato che affronta apertamente il problema è François Bayrou, il leader centrista che preso in mezzo dai fuochi contrapposti della demagogia fa la figura della Cassandra, con poche speranze di successo. La Francia è più debole di quanto appaia, è il suo messaggio. Sarkozy punta invece su «La Francia forte», slogan della sua campagna elettorale. Una Francia protezionista che alza la voce con l’Europa, chiede la riforma del Trattato di Schengen, preannuncia il congelamento dei finanziamenti francesi all’Unione Europea e intende aprire un dibattito sulla Bce, mettendone in discussione ruolo e statuto. Così ha messo fine all’idillio con il cancelliere tedesco Angela Merkel, che all’inizio della campagna elettorale si era schierata a suo favore con una dichiarazione pubblica. Impresa disperata quella di Sarkò che gioca il tutto per tutto. Pur di conquistare Parigi ci si allontana da Berlino. Mancano due giorni al voto ma la Francia è già cambiata.
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