Un comando Nato, al più presto. Solo questo è certo sull’operazione "Odissea all’alba" che – stretta tra i veti incrociati di Parigi ed Ankara, e le inderogabili richieste del Patto atlantico – deve ancora ripartire le competenze tra l’Alleanza e il gruppo di contatto dei Paesi volenterosi – compresi quelli fuori dalla Nato – che si riunirà martedì a Londra. Grande lavoro per gli “sherpa” a ricomporre questo inedito multilateralismo e a disegnare no-fly zone e blocchi navali, ma da ieri per i leader europei c’era già una nuova “parola d’ordine”: lavorare a una «soluzione politica» per la crisi della Libia.È il solito, incontenibile, Sarkozy a lanciare il nuovo “refrain” appena terminato il vertice europeo a Bruxelles: martedì a Londra «ci sarà certamente un’iniziativa franco britannica per dimostrare che la soluzione non è solamente militare», affermava il presidente francese. Una «soluzione politica e diplomatica» di concerto con la Gran Bretagna a cui Sarkozy vuole «associare la Germania». Cameron, più cauto, rivolgeva comunque un significativo appello al popolo libica ad «abbandonare Gheddafi» così da poter decidere «del proprio destino». E giovedì notte a Bruxelles, a vertice Ue ancora in corso, era il portavoce dello stesso Cameron a salutare come un «passo avanti» il comando Nato delle operazioni, chiedendo pure ai Paesi arabi di assumere un ruolo «vero e tangibile» nel dipanare la crisi di Tripoli. Un nuovo comando, dunque, ma anche un coinvolgimento di nuovi attori regionali.Un asse franco-britannico – con gli Stati Uniti volutamente defilati – maturato durante le estenuanti trattative sul comando Nato e certo frutto dell’incontenibile attivismo di Sarkozy, ma alquanto indigesto per la Turchia che in un primo momento non era stata nemmeno invitata a Londra come, del resto, il segretario della Nato Rasmussen. Il compromesso sul comando militare non ha infatti sopito lo scontro: «Trovo positivo che la Francia cominci ad essere ai margini, soprattutto in Libia», ha commentato il premier turco. Erdogan ieri auspicava pure che l’Alleanza Atlantica operi di concerto con la Lega Araba e l’Unione Europea «così da evitare i medesimi errori commessi in Afghanistan e in Iraq».Un braccio di ferro che proseguirà a Londra dove l’Italia è pronta a giocare un ruolo di mediazione per un consenso il più ampio possibile attorno alla coalizione. «Anche l’Italia ha le sue proposte e le discuterà nelle sedi opportune», avvertiva da Tunisi il ministro Franco Frattini. Martedì a Londra, ha precisato il ministro degli Esteri in aperto dissenso con la Francia, «non ci sarà una cabina di regia operativa ma un gruppo di contatto politico che darà degli indirizzi». Roma, trapela da fonti diplomatiche, non ammorbidirà la sua opposizione alla linea francese e continua a lavorare a un largo consenso multilaterale che eviti personalismi e garantisca lo scopo umanitario della missione. E segnali importanti, forse reali premesse a nuove “soluzioni politiche”, sono giunti ieri dal vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba. Una delegazione di Tripoli, presente al vertice, si è detta «pronta ad attuare la Road map» proposta dall’Unione Africana. Lo scorso 19 marzo a Nouakchott il comitato ristretto dell’Unione Africana aveva chiesto con un documento una soluzione negoziale della crisi libica. Ieri sera il presidente dell’Unione Africana, Jean Ping, ribadiva alla
Bbc le condizioni per una trattativa che porti a una transizione democratica: cessate il fuoco immediato, apertura di un corridoio umanitario per far giungere gli aiuti, protezione dei civili e riconoscimento delle legittime aspirazioni del popolo libico.