Trent’anni fa l’allora segretario di Stato americano, Henri Kissinger, si chiedeva quale numero chiamare per parlare con l’Europa. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, «l’Unione europea non avrà un unico numero di telefono, ma credo che l’obiettivo a cui puntare sia avere un unico centralino». È il parere di Antonio Missiroli, direttore degli studi presso il Centro di politica europea a Bruxelles.
Uno degli obiettivi del trattato è dare continuità alla relazioni esterne dell’Ue. Ma non ci sarà un solo volto a rappresentare l’Europa all’estero? C’è chi parla di quartetto: il presidente della Commissione, il nuovo presidente stabile del Consiglio, il nuovo capo della politica estera, più la presidenza di turno (che non c’è più in politica estera, ma rimane in altre formazioni del Consiglio). C’è chi parla di quin-tetto, se si considera anche il Parlamento europeo ( che vedrà accresciuto il suo ruolo con l’entrata in vigore del trattato). Quello che conta è che il nuovo sistema è basato interamente a Bruxelles. Non ci saranno più numeri di telefono nelle capitali dei grandi Paesi o nella capitale della presidenza di turno, ma tutto sarà concentrato a Bruxelles.
Che tipo di presidente serve all’Ue? La presidenza stabile ha il vantaggio di dare continuità ai lavori e di far sì che accordi presi tra i Paesi membri possano essere mantenuti nel tempo, perché la persona che li ha garantiti è sempre la stessa e non cambia ogni sei mesi. Evidentemente, però, questo tipo di presidenza funziona se chi la detiene interpreta il ruolo di mediatore, di garante, e non di chi vuole parlare a nome dei Ventisette e stabilire delle linee politiche.
Quindi il trattato non prevede un super-presidente? Assolutamente no. Il profilo e i poteri del presidente dell’Ue sono più simili a quelli di un segretario generale, cioè di una figura amministrativa, che a quelli di una forte figura politica. Inoltre è vero che il presidente avrà il compito di rappresentare l’Ue all’estero, ma il trattato non entra nei dettagli di dove finiscano i poteri del presidente e dove comincino quelli di altri attori.
Il nuovo capo della politica estera dell’Ue avrà più poteri di quello attuale? Avrà più risorse, ma avrà anche più “padroni”. La nuova figura si troverà al punto di intersezione tra la Commissione, i Paesi membri e il Parlamento europeo ( che dovrà approvare buona parte del bilancio a disposizione del nuovo capo della politica estera dell’Ue). È una missione quasi impossibile, perché racchiude tre lavori in uno: quello di Javier Solana, attuale capo della politica estera europea; quello svolto a suo tempo da Chris Patten, che era responsabile del coordinamento generale delle relazioni esterne nella Commissione Prodi; e il lavoro svolto da Carl Bildt, che presiede il Consiglio Affari esteri in quanto ministro competente dell’attuale presidenza di turno svedese.
Che cosa accadrà dopo la nomina delle due nuove figure previste dal trattato? Credo che l’aspetto sperimentale prevarrà nei primi mesi e che la messa in opera del trattato sarà graduale: le poche idee che circolano a questo riguardo prevedono delle fasi di revisione nel 2012 e nel 2014.