Nel 2003, e fino al 2006, per il Vaticano il problema dell’acqua è ancora assimilabile a quello della povertà e della fame. «Una questione di diritto alla vita» che «riguarda la distribuzione»: così se ne parla a Kyoto. L’appello ai governi del mondo è ancora legato ai temi classici, come la partecipazione; si paventa la «commercializzazione dei servizi idrici» ma si crede ancora che la «parità» tra privato e Stato possa portare ad «accordi solidi». La sfida “giuridica” è appena annunciata; la questione politica solo dichiarata; l’interdipendenza tra povertà e sete assolutamente acclarata. Tre anni dopo, a Città del Messico, il fronte si apre. Pur senza deflettere dai principi – ogni documento è presentato come un“aggiornamento” dei precedenti – la battaglia per l’acqua potabile si sdoppia e appare con maggiore evidenza quella per la sanitizzazione. Non solo: approvvigionamento di risorse idriche e disponibilità di servizi igienici vengono presentati come fattori di sviluppo. Testualmente: «un motore per l’accelerazione della crescita». Quello è anche l’anno della sfida giuridica: «il sistema dei diritti umani fondamentali manca tuttora di un’accettazione esplicitamente concordata del diritto di accesso all’acqua sicura», che rappresenta «un passo importante nel rendere tale accesso una realtà nelle vite di molte persone che vivono in povertà», perché «l’accesso all’acqua sicura diviene un titolo giuridico invece di un servizio fornito su base umanitaria». La battaglia prosegue a Istanbul nel 2009, parallelamente a quella, tutta politica, sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, la cui efficacia viene contestata. Il documento vaticano parla di «questione della massima urgenza» e non fa sconti. «Il mondo è sulla strada giusta per il raggiungimento dell’obiettivo sull’acqua pulita» ma «il progresso verso un miglioramento dei servizi igienici è insufficiente». Quando, più tardi, l’Onu annuncerà di aver raggiunto l’obiettivo sull’acqua potabile, il cardinale Peter Turkson e monsignor Mario Toso, presidente e segretario della commissione, annoteranno: «non è questo il luogo per discutere sull’uso della metodologia usata dall’Onu» ma «ci pare importante che il raggiungimento di quella particolare méta non venga percepito come una vittoria finale». Da Marsiglia 2012 in poi per la Chiesa arriva il momento di «agire». Al traccheggiare dei governi oppone una nuova denuncia, quella di una «concezione eccessivamente mercantilistica dell’acqua» che verrà letta dai circoli benecomunisti - che si mobilitano in quegli anni sullo stesso tema - come un’apertura di credito. In verità, partendo da presupposti religiosi e culturali ben diversi da quelli tardomarxisti, la Santa Sede sta fondando il terzo momento “pastorale”: con il documento marsigliese arrivano le «soluzioni sostenibili» nonché «immediate», si entra nel dettaglio delle politiche per l’acqua e dei rapporti tra lo Stato e gli operatori privati e si chiede una «governance internazionale», descrivendone compiti e funzioni e addirittura la ragion d’essere, che è quella di «assicurare la destinazione universale dei beni». Perché il quadro di riferimento è (ancora e sempre) il Concilio.