lunedì 27 ottobre 2014
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«Chi non ha scrupoli ad annientare la vita umana non ha nemmeno scrupoli a distruggerne la memoria», commenta Francesco Rutelli subito dopo la consegna del “Cultural heritage rescue prize” ieri a Venezia, nella splendida cornice del Palazzo Ducale.Una guerra a sfondo etnico religioso quella imposta dal Califfato in Siria ed Iraq che, oltre agli orrori di genocidi e pulizie etniche, ha reso tristemente attuale pure una furia iconoclasta che si credeva consegnata al Medio Evo.Dalla Siria «la distruzione di monumenti, tombe e siti archeologici è sconfinata in Iraq», secondo la logica di chi, imponendo a forza una versione estremista e ideologica della sharia, non solo non tollera altre culture o religioni, ma vuole pure annientarne ogni testimonianza del passato.Per questo la prima edizione del premio è stata assegnata Mamoun Abdul Karim, direttore delle Antichità di Damasco: un riconoscimento dell’inestimabile lavoro svolto da questo archeologo siriano capace di mettere in salvo con un solo volo aereo i 13mila pezzi di un museo siriano e di riuscire a contrastare la distruzione culturale del suo Paese collaborando sia con il regime di Damasco che con gli esponenti dell’opposizione moderata. Un servizio alla cultura oscuro e pagato al prezzo della vita da tre delle sue guardie: addirittura Abdullah al-Hamaid, 34 anni, è stato decapitato a Deir al-Zour, città in mano allo Stato islamico.Una tappa il premio di ieri, della campagna internazionale lanciata dall’italiano Paolo Matthiae, il decano degli archeologi in Siria e scopritore del sito di Ebla. Si è tornati a violare quello che, dopo le bombe su Dresda e Montecassino, era stato definito nel dopoguerra «patrimonio dell’umanità» e quindi un bene inviolabile. Un nuovo passo oltre del terrorismo fondamentalista, nel baratro dell’orrore.Lo scempio in atto dell’antica Mesopotamia, ci ha già privato del mausoleo di Giona a Mosul e di uno dei minareto della Moschea di Aleppo, ma è l’intera cittadella della vecchia di Aleppo – patrimonio dell’Unesco – ad essere in pericolo: ora in mano all’esercito di Assad, con un repentino avanzamento del fronte, potrebbe finire nelle mani distruttrici dell’Is. Come i buddha di Bamiyan, distrutti nel 2001 dai taleban in Afghanistan, è l’intera civiltà arabo cristiana e musulmana ad essere in pericolo: un allarme lanciato ieri a Venezia da Mounir Bouchenaki, consigliere del direttore generale dell’Unesco, di origine algerine che ha puntato il dito pure sui beni storici di Libia ed Egitto in pericolo.L’arte e la cultura, distrutte per offendere e annientare il nemico e, dato forse ancora più inquietante e sorprendente, usate come arma di guerra. Da quando sono iniziati i raid aerei contro i pozzi di petrolio in mano all’Is, «il Califfato ha dato il lasciapassare a centinaia di “tombaroli” per saccheggiare tombe e siti e rivendere all’estero» in modo illegale le opere d’arte così trafugare. «Dopo la droga, le armi, il traffico di esseri umani l’arte è il quarto mercato del crimine internazionale», ha avvertito Francesco Rutelli. Un business che, solo per Iraq e Siria, vale da solo decine di milioni di euro mentre alle dogane degli Usa il traffico di opere d’arte dall’Iraq è aumentato del 600%. Per questo il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, nel suo intervento a Palazzo Ducale, ha proposto l’istituzione di caschi blu dell’Onu per la cultura e di porti franchi per il ricovero dei «beni dell’umanità» quando sono messi in pericolo. Da Venezia sale una promessa che è pure un impegno condiviso: non permettere più, a chi vuole per fanatismo distrugge l’uomo, di fare scempio pure della nostra memoria.
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