mercoledì 22 agosto 2012
​Alla giovane disabile negata la visita del legale. La ragazza, accusata di aver bruciato dieci pagine di un compendio del Corano, si trova nel carcere di Adiyala.
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 Oppressione e complicità di Fulvio Scaglione
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​Giorni d’incertezza per Rimsha, la 13enne accusata di blasfemia e detenuta nel penitenziario di Adiyala, nei pressi della capitale pachistana Islamabad, in attesa che i giudici prendano in esame il suo caso. L’udienza è prevista per venerdì e la decisione dovrebbe arrivare sabato. Intanto l’adolescente è, secondo fonti interne al carcere, sotto custodia cautelare insieme a detenute adulte. Lo ha confermato Arsalan Ahmed, funzionario del centro detentivo. Secondo quest’ultimo, inoltre, la ragazzina cristiana sarebbe affetta da sindrome di Down. Secondo fonti cristiane locali e lo stesso Consigliere speciale del primo ministro per l’Armonia religiosa, Paul Bhatti, che ha chiesto accertamenti medici, Rimsha soffrirebbe, invece, di un ritardo mentale. Si tratta di uno dei tanti elementi controversi di questo caso, unico anche per gli standard pachistani. Che, comunque, vedono con frequenza minorenni delle minoranze coinvolti in casi di blasfemia. In carcere, la giovane cattolica che – secondo il dettato degli articoli del Codice Penale pachistano conosciuti come “legge antiblasfemia”, rischia fino alla pena di morte in caso di condanna per l’accusa di avere bruciato pagine del Corano – non avrebbe ancora ricevuto la visita di avvocati o di rappresentanti delle organizzazioni per i diritti umani. In realtà la ragazzina potrebbe essere rilasciata, come nella maggioranza di casi simili. Soprattutto se a sostenere le accuse di presunti testimoni oculari non dovessero contribuire prove concrete. Apparentemente si tratta di una bella notizia. La libertà rischia di essere un’arma a doppio taglio per Rimsha. Che finirebbe per essere esposta alle minacce dei musulmani radicali. Questi ultimi hanno già costretto alla fuga i suoi parenti e altre centinaia di famiglie cattoliche dalla baraccopoli di Umara Jaffar, non lontano dal centro della capitale. Tuttora sono nascosti in un luogo segreto, nel timore che gli integralisti mettano in atto le loro minacce. Nella capitale la tensione resta alta. I media, però, non stanno dando grande risalte al caso- Rimsha. Una scelta, quella dei mezzi d’informazione e delle autorità, mirata non solo a non creare un’immagine estremista per il Paese, ma anche a non incentivare reazioni di frange estremiste violente. La maggioranza dei cristiani, da parte sua, ha scelto ancora una volta la linea del dialogo con i vicini musulmani per arrivare a un accordo che salvaguardi l’incolumità della ragazzina e la sicurezza della comunità. Solo in alcuni ambienti cristiani di matrice protestante, la reazione è stata dura. Alcuni gruppi hanno chiesto provvedimenti eccezionali per difendere i cristiani (che sono circa 3 milioni nel Paese, 1,6 per cento della popolazione), vessati dagli estremisti. Il presidente del Congresso cristiano pachistano, Nazir S. Bhatti, ha chiesto al governo non solo l’immediata scarcerazione della bambina, ma anche di concedere il porto d’armi a tutti i cristiani della nazione, in modo che possano proteggersi da eventuali attacchi. Nazir Bhatti ha anche rivolto un appello agli esponenti della minoranza affinché vendessero i propri beni e si armassero legalmente per potersi difendere in caso di attacchi. «La fuga di migliaia di cristiani dalle loro case per mettersi in salvo – ha detto – è un totale fallimento per l’amministrazione». Per ricordare al governo pachistano il dovere di tutelare l’incolumità e la libertà di tutti i suoi cittadini, si stanno muovendo anche le diplomazie occidentali. Vari appelli sono stati rivolti a Islamabad ieri. Il dipartimento di Stato statunitense e il ministero degli Esteri francese hanno ieri ricordato l’incompatibilità della “legge antiblasfemia” con i diritti delle minoranze religiose in Pakistan. Il titolare della Farnesna, Giulio Terzi, ha fatto sapere che sta seguendo personalmente e con «grande attenzione» la vicenda del’adolescente attraverso l’Ambasciata italiana a Islamabad.
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