venerdì 5 giugno 2009
Il Primo ministro britannico ridisegna il governo dopo le clamorose dimissioni di sette suoi ministri. «Non me ne andrò – ha detto –. In questo momento di difficoltà non volterò le spalle al mio Paese. Sono entrato in politica non per la fama ma per affrontare i problemi e risolverli».
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Il momento più nero nella carriera di Gordon Brown si è consumato con ogni probabilità giovedì sera quando James Purnell, ministro del Lavoro, ha deciso di dimettersi. Lo ha fatto pochi attimi dopo la chiusura delle urne e appena prima che cominciasse il conteggio dei voti delle elezioni in 34 consigli locali avvenute in contemporanea con quelle europee. La decisione di Purnell, raccolta in una lettera pubblicata ieri sulla stampa in cui il giovane ministro, amico del ministro degli Esteri David Miliband, ha chiesto al premier di dimettersi o affrontare una sicura sconfitta alle prossime elezioni politiche, ha provocato un rimpasto accelerato che si è concluso in una giornata e che ha fatto temere il caos. «Brown non sta facendo il rimpasto – ha commentato il leader dei conservatori David Cameron –. I ministri si stanno rimpastando da soli». Dopo Purnell hanno dato le dimissioni, ieri mattina, il ministro della Difesa John Hutton e poco dopo anche quello dei Trasporti Geoff Hoon: questi si sono aggiunti al ministro degli Interni Jacqui Smith e a quello per le Comunità Hazel Blears che si sono dimesse pochi giorni fa. Nel primo pomeriggio, prima che si concludesse il rimpasto alle 16,30, si erano già dimessi cinque ministri e la tensione a Westminster si tagliava con il coltello alimentando speculazione che il prossimo ad andarsene sarebbe stato lo stesso premier. Con flemma da tipico scozzese, forte e risoluta, Brown è invece salito sul podio di Downing Street, davanti a un folto gruppo di giornalisti, e non ha ceduto: «Non me ne andrò – ha detto –. In questo momento di difficoltà non volterò le spalle al mio Paese. Sono entrato in politica non per la fama ma per affrontare i problemi e risolverli». Il nuovo esecutivo è pronto a lavorare, ha continuato il premier, «ed è tagliato per fare un ottimo lavoro. Ripuliremo tutto». Restano in sella David Miliband agli Esteri; Alistair Darling al Tesoro; Ed Balls alla Scuola e Jack Straw alla Giustzia. Alan Johnson che era alla Sanità rimpiazza la Smith agli Interni e viene sostituito alla Sanità da Andy Burnham. Alla Difesa va Bob Ainsworth mentre sostituisce Hoon ai Trasporti Lord Adonis. Yvette Cooper ha ottenuto il posto di ministro per il Lavoro al posto di Purnell mentre quello che fu di Hazel Blears per le Comunità è stato affidato a John Denham. Questo rimpasto, che non doveva avvenire prima di lunedì dopo il conteggio dei voti europei, e che è il secondo del governo Brown negli ultimi otto mesi, ha fatto tremare il mondo politico britannico per tutta la giornata di ieri e  la maggior parte dei reporter a Westminster dubita che riuscirà a garantire stabilità al Paese. Tutti sono d’accordo sul fatto che il destino del Labour, che guida il Regno Unito da 12 anni, è ormai al tramonto. «È la fine di un’era – diceva ieri Nick Robinson della Bbc – come lo fu di quella Tory quando questi dopo quattro legislature, tre con Margaret Thatcher e una con John Major, dovettero affrontare una sconfitta colossale a favore dei laburisti nel 1997». La Gran Bretagna ha infatti sospettato ieri che Brown facesse la stessa fine della Thatcher quando nel 1990 fu costretta a dimettersi dopo le dimissioni di uno dei suoi uomini più importanti, Geoffrey Howe, ministro degli Esteri e vice premier. Ma Brown, attaccato da tutti i fronti, non ha battuto ciglio: «Mio padre mi ha insegnato una cosa fondamentale: quando c’è un problema si risolve e si guarda avanti». I prossimi giorni, con i risultati delle europee, potrebbero essere decisivi e c’è già chi parla di elezioni anticipate in autunno.
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