Solleva forti perplessità nel mondo cattolico e tra le associazioni di difesa per la vita lo scopo dichiarato nel documento finale del summit anti-povertà dell’Onu di voler «eliminare» 33 milioni di gravidanze nei prossimi cinque anni. Un approccio cinico al problema della mortalità materna e infantile, secondo Terrence McKeegan, vicepresidente del “Catholic Family & Human Rights Institute” (Cfam), a New York per seguire i lavori del Palazzo di Vetro.
Qual è a suo dire la motivazione razionale delle Nazioni Unite per voler ridurre il tasso di fertilità nei Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo?È una logica secondo la quale il modo migliore di ridurre le morti per parto e le morti di infanti non è di migliorare le cure che le madri e i bambini hanno a disposizione, o la qualità e il numero dei dottori, o le strade per arrivare agli ospedali, ma semplicemente di ridurre il numero delle gravidanze attraverso aborti e anticoncezionali. Non affronta la vera causa del problema.
Quali dati o prove vengono usati nel documento per spiegare che un approccio del genere, per quanto cinico, possa funzionare?L’unico dato che viene ripetuto da anni nei documento Onu è quello dell’esistenza di 200 milioni di donne al mondo i cui bisogni di pianificazione familiare non vengono soddisfatti. È un numero arbitrario, perché a definire questo “bisogno” sono gli esperti delle Nazioni Unite, non le donne stesse, che in molti Paesi poveri, per cultura o fede religiosa, non desiderano avere maggiore disponibilità di anticoncezionali o di aborti.
Nei documenti che emergono dal Palazzo di Vetro o dalle sue agenzie è ormai diventato comune l’uso della frase «salute riproduttiva», che viene guardata con scetticismo dalle associazioni di difesa della vita. Perché questo scetticismo?Perché la qualità della salute riproduttiva viene misurata in un solo modo: quantificando la «prevalenza dei contraccettivi» in un Paese. Se questo indicatore è basso, si dice che in quel Paese vi è una povera salute riproduttiva. Ogni volta che si parla dell’obiettivo numero 9 degli Obiettivi del Millennio, «ridurre la mortalità materna», si parla di «prevalenza dei contraccettivi». Noi non crediamo a questa equivalenza, che non tiene in considerazione i veri bisogni di salute delle donne in età fertile.
È mai stata dimostrata una correlazione fra la «prevalenza di contraccettivi» e la riduzione della mortalità materna?No. I Paesi che hanno ridotto drasticamente la mortalità di donne e bambini lo hanno fatto aumentando la presenza di personale qualificato ai parti, la pulizia degli ospedali e la qualità delle strade. Ma le risorse sono limitate, e ogni dollaro investito in profilattici e aborti toglie denaro a questo tipo di investimenti.
L’esperienza della sua associazione è stata ascoltata all’Onu durante la fase di preparazione del documento finale?L’abbiamo fatta sentire. Abbiamo organizzato conferenze di alto livello invitando ginecologi, medici e volontari che operano in Paesi poveri. Durante una presentazione ai delegati dell’Onu, la scorsa settimana, una ginecologa ha spiegato ad esempio come la semplice istituzione del medico di base in Nigeria più che dimezzerebbe la mortalità materna e infantile.