lunedì 20 agosto 2012
​Un’équipe formata da specialisti del Niguarda di Milano (con la Fondazione De Gasperis), degli Ospedali Riuniti di Bergamo e di due centri clinici esteri, ha eseguito interventi di cardiochirurgia su bimbi con gravi cardiopatie congenite nell'ospedale di Tashkent (Reportage di Vito Salinaro)
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​C’è solo un filo d’aria a mitigare i 42 gradi che, alle 9 del mattino, avvolgono la sala riunioni della cardiochirurgia pediatrica, al quarto piano dell’Ospedale "Vakhidov" di Tashkent, poco distante dall’aeroporto internazionale della capitale dell’Uzbekistan. Il dottor Hakim Abrolov, che dirige la struttura, siede a capotavola. In atteggiamento solenne, e nel silenzio più rispettato, apre la cartella dei "casi selezionati" e, mentre espone a voce i risultati di un’ecografia cardiaca, con la mano destra solleva verso la finestra assolata la prima radiografia: è quella che mostra il torace della piccola Shohjahon, 8 anni, ricoverata da una settimana. Bastano pochi secondi. Stefano Marianeschi, Paolo De Siena e Matteo Ciuffrida si scambiano uno sguardo di intesa. I primi due sono cardiochirurghi pediatrici, il secondo è un cardiologo pediatra. Marianeschi, che dirige un’analoga struttura all’Ospedale Niguarda di Milano, interrompe l’amico Hakim: «La operiamo subito».Shohjahon ha una cardiopatia congenita molto grave: il malfunzionamento di due valvole ha dilatato in maniera esponenziale il suo cuore. Al pari di lei, tanti bambini ricoverati in questa come in altre strutture sanitarie del Paese asiatico hanno urgenti necessità di cure mediche che solo in piccola parte la sanità locale è in grado di assicurare. Diagnosi sbagliate o ritardate, chirurghi spesso inadeguati alla complessità dei problemi, accesso alle cure difficoltoso, farmaci introvabili si traducono, non di rado, in prognosi infauste, sofferenze aggiuntive, autentiche condanne a morte. Quasi tutte evitabili.Gli specialisti italiani arrivati a Tashkent hanno aderito al progetto "Cuore di bimbi" creato dalla Fondazione "Aiutare i bambini", che copre le spese della trasferta e provvede all’acquisto di farmaci e macchinari diagnostico-terapeutici (in parte offerti dalle aziende del distretto biomedicale di Mirandola). La Fondazione, in questo caso, è supportata dal Niguarda di Milano – affiancato dalla Fondazione De Gasperis – e dagli Ospedali Riuniti di Bergamo. Dal nosocomio milanese, oltre a Marianeschi, coordinatore degli interventi della missione, arrivano anche Francesca Aresta, anestesista rianimatore, e Cosimo Popolizio, perfusionista; Ciuffrida fa invece parte dello staff di cardiologia pediatrica degli Ospedali Riuniti, mentre Paolo De Siena è nell’unità di cardiochirurgia dell’"East Midlands" di Leicester (Gran Bretagna). A far parte del gruppo Marianeschi ha chiamato anche la pediatra intensivista Ana Coca, dell’Ospedale universitario "Ramòn y Cajal" di Madrid. Tutti hanno scelto di spendere una settimana di ferie per affrontare un viaggio nel cuore dell’Asia e mettere a disposizione dei bambini competenze e passione. Gratuitamente.Lo scopo del progetto è duplice: salvare quante più vite possibile e formare i medici locali, spesso inesperti. Senza una tempestiva diagnosi e un successivo trattamento delle lesioni cardiache, infatti, circa un bambino su tre con cardiopatie congenite è destinato a morire entro il primo mese di vita.Fino al 1991 qui, come in tutta la galassia riunita sotto l’ex Urss, il sistema sanitario sovietico garantiva un’assistenza gratuita per tutta la popolazione. L’indipendenza dell’Uzbekistan ha però fatto emergere una progressiva mancanza di risorse economiche e una inefficienza del nuovo sistema sanitario nazionale che ha portato a un aumento delle forme di assistenza privata alle quali le fasce più povere della popolazione non hanno accesso. Nel Paese l’aspettativa di vita si ferma a 67 anni (in Italia è prossima agli 82). E i tassi di mortalità nell’adulto e nel bambino sono spesso ancora condizionati da malattie come la tubercolosi. In ambito pediatrico, la mortalità infantile arriva a valori di 35 decessi su 1.000 nati (3,7/1.000 il dato italiano).Dal settembre 2005, con la sola missione "Cuore di bimbi", la Fondazione "Aiutare i bambini", ha salvato la vita a oltre 600 piccoli, parte dei quali proprio qui in Uzbekistan. Ma operare tra le mura del "Vakhidov" è tutt’altro che facile. Te ne accorgi quando, in una sorta di sala pre-operatoria, i medici si disinfettano immergendo le mani in consumate tinozze riempite con una soluzione chimica misteriosa. Oppure quando ti avvertono della mancanza di drenaggi, di materiali per dialisi, di pace-maker, ma anche di sondini, carrelli delle emergenze, farmaci. Persino i cerotti sono merce rara. In terapia intensiva, Aresta e Coca devono prodigarsi per spiegare al personale del posto quanto sia indispensabile saper leggere i segni clinici di peggioramento e gestire la fase post-operatoria di un bambino.I medici avrebbero dovuto accorgersi molto prima anche della malattia di Shohjahon che, a due giorni dalla diagnosi, ora è lì, sul lettino operatorio. Dei nove interventi programmati in questa missione il suo è il più difficile. Ciuffrida, che passa 10 ore al giorno in una stanza caldissima a visitare bimbi in compagnia di un ecografo che ha fatto il suo tempo e di due infermiere che cercano di imparare qualche parola in italiano, dice che non ci sono le condizioni per portare la piccola uzbeka a Milano.La sala operatoria è affollatissima. Si contano almeno 25 persone, tra medici, infermieri e non meglio precisati "addetti". C’è anche una troupe della tv di Stato controllata dal presidente Islom Karimov, che detiene il potere da 21 anni. La tv è accorsa per sottolineare «gli eccellenti risultati raggiunti dalla medicina uzbeka, grazie al presidente Karimov».Marianeschi e De Siena sono al tavolo operatorio mentre Aresta e Coca osservano il monitor che registra i parametri vitali. Per la prima volta, nel blocco operatorio del "Vakhidov", i chirurghi locali assistono a un intervento di plastica bivalvolare. Disposti attorno agli specialisti italiani, ne studiano tecniche, movimenti, strategie. Ma ne sperimentano anche la preoccupazione quando la vecchia macchina cuore-polmoni – che sostituisce il cuore con la funzione di pompa, e i polmoni per ossigenare il sangue – fa le bizze, sembra sbuffare. E si arresta, a causa della mancanza di corrente, per alcuni secondi. Che scorrono lentissimi prima che la macchina riparta, sollecitata dalle mani di Cosimo Popolizio, che ci mette tutta la sua esperienza per vincere la guerra con questo ferrovecchio non più in produzione da oltre 20 anni.Dopo 6 ore, gli occhi esausti di Stefano Marianeschi e di Paolo De Siena si incrociano sopra le rispettive mascherine. Non c’è posto per le emozioni nella professione di un cardiochirurgo ma stavolta, dopo 9 interventi salvavita in 5 giorni, Paolo, osservando la bambina, rompe gli indugi: «Sté – sussurra con un filo di commozione e in un napoletano nient’affatto arrugginito dagli anni in Inghilterra –, sta criatura è salva». Il collega ternano lo asseconda e sdrammatizza: «Ti va un caffè? Ma stavolta offri tu!».
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