Il “muro” a Nogales che divide il Messico dagli Stati Uniti: nella città di frontiera monta la paura dopo l’elezione di Trump - Alamy Stock Photo
Da Nogales gli Stati Uniti li puoi vedere, annusare, persino toccare. Infili la mano nella recinzione e afferri una manciata di terra americana mentre ti riempi gli occhi delle strade ampie, delle auto lunghe, delle pubblicità della Coca Cola e soprattutto della bandiera. Un enorme stendardo a stelle e strisce, che ondeggia e sfiora il muro, come un invito, o una presa in giro. Quella messicana, al confronto, è piccola e sfilacciata, candeggiata dal sole.
Ma è un’illusione. Alla fine di molte strade di Nogales che puntano al norte c’è un muro spesso, sormontato da un secondo muro, sormontato da filo spinato e da telecamere. «Sembra a portata di mano, ma è l’America ancora lontana. Sono qui da sei mesi, non ho avuto fortuna», si guarda i piedi Yulisa, arrivata a Nogales la scorsa primavera con la figlia di sette anni proveniente dall’Ecuador, dove le gang hanno ucciso suo fratello e minacciato tutta la sua famiglia. Da allora ogni giorno cerca di ottenere un appuntamento al confine tramite Cbp One, l’applicazione capricciosa e complicata delle autorità di frontiera Usa.
Progettato per scoraggiare gli attraversamenti illegali, il programma Cbp dell’Amministrazione Biden consente di richiedere un appuntamento presso un punto di frontiera con un funzionario, che poi valuta il diritto di presentare istanza d’asilo. I tempi di attesa, però, possono prolungarsi per mesi a causa della domanda straordinariamente elevata e delle continue interruzioni. Le richieste di colloquio si bloccano infatti ogni volta che gli “incontri” con immigrati illegali al confine meridionale Usa raggiungono i 2.500 al giorno. Sebbene gli arrivi si siano ridotti molto rispetto dal 2023, grazie al giro di vite del governo messicano, da mesi questa soglie viene superata quasi ogni giorno. Il 5 novembre, election day, sono stati 3.002.
Il tempo, però, stringe. Perché il 20 gennaio s’insedia alla Casa Bianca Donald Trump, che ha promesso di interrompere il programma d’asilo. Yulisa scuote la testa e si copre il viso con le mani, mentre la Bestia, il treno merci che taglia il Messico da Sud a Nord carico di migranti, attraversa la città. «È così che siamo arrivate – la donna indica i vagoni con un dito – sul tetto, con mia figlia fra le braccia, terrorizzata che cadesse. Non possiamo tornare indietro, sarebbe la fine. Possiamo solo andare adelante».
La figlia di Yulisa corre con un gruppo di bambini davanti a un edificio giallo con una grande farfalla disegnata sul davanti, dove vive con la madre da aprile. È la “Casa della Misericordia e di tutte le Nazioni”, uno dei più grandi rifugi per migranti sul lato messicano del confine tra Arizona e Messico. La Casa è appollaiata su una collina di un quartiere operaio chiamato Bella Vista, dove il trambusto inizia la mattina presto, con i lavoratori che si dirigono verso le fabbriche delle valigie Samsonite, delle lampadine General Electric o dei lucchetti Masterlock, tutte controllate da gruppi americani, dove i salari sono una miseria, secondo gli operai. «Abbiamo una popolazione diversificata, in arrivo da tutta l’America centrale e meridionale, ma anche da Paesi dell’Africa e dell’Asia – dice Angelica “Lika” Macias, direttrice del rifugio –. Accogliamo intere famiglie, donne con bambini e donne sole. Tutti sono ad alto rischio di vulnerabilità. Il massimo che possiamo ospitare è di 120 persone. In genere siamo pieni tutti i giorni. La metà sono bambini».
Macias ha notato un enorme sconforto al rifugio a partire da mercoledì, quando sono stati resi noti i risultati delle elezioni. «Trump ha promesso di sigillare il confine con il Messico, chiudendo la Cbp One e tutti i programmi che consentono ai migranti di entrare legalmente – continua la direttrice –. C'è molta preoccupazione. Sono tutti molto spaventati». Dei 120 ospiti della Casa, almeno la metà ha deciso di tentare di entrare illegalmente, valicando il confine con l’aiuto dei coyotes entro la fine dell’anno, prima che le cose cambino. Ma Macias li esorta a non farlo e a seguire le procedure ufficiali. Attraversare il deserto dell’Arizona non solo è potenzialmente letale, dice loro, ma un arresto li escluderebbe automaticamente dall’entrare negli Usa per vie legali, in base a un atto esecutivo firmato da Joe Biden nel giugno scorso. Sempre che entrare regolarmente possa bastare, visto che la squadra Trump starebbe valutando la possibilità di deportare anche gli immigrati arrivati legalmente sotto l’Amministrazione Biden che non hanno ancora ottenuto l’asilo, e si trovano bloccati in una specie di limbo.
I funzionari frontalieri di California, Arizona, New Mexico e Texas temono che i risultati delle elezioni possano far impennare gli attraversamenti non autorizzati, che sono rimasti bassi nei mesi estivi, quando le temperature attorno ai 50 gradi rendono suicida incamminarsi nel deserto. Per questo le pattuglie del Border Patrol sono già aumentate e dovrebbero arrivare a raddoppiare entro la fine del mese. Ma gli operatori del rifugio di Nogales si aspettano comunque un aumento di arrivi anche da altri posti di confine lungo la frontiera con gli Stati Uniti. Perché chi è già alle porte degli Usa e vuole arrivare al norte pagando i coyotes fino a 5mila dollari per persona (più della metà dei quali finiscono agli agenti messicani e ai cartelli della droga) convergerà qui.
«È certo – assicura Karina, onduregna, che è approdata una volta negli Stati Uniti ma è stata subito deportata – poiché all’Est los carteles sono ancora più spietati, ed è diventato impossibile attraversare a Tijuana. Qualche anno fa era più semplice. La recinzione era piena di buchi. Adesso è una zona di guerra, con i droni, le telecamere e gli agenti di frontiera che ti aspettano dall’altra parte. Molto meglio Nogales. Io parto fra pochi giorni».