Una nave militare ucraina auto-affondata nel porto di Odessa - .
Lo cercano per ucciderlo. Ma i sicari della volpe di Mosca non sono riusciti ancora a consegnare a Vladimir Putin la testa del presidente ucraino Zelensky. Provano a stanarlo massacrando i civili e diffondendo false notizie sui suoi spostamenti, in modo che esca allo scoperto. L’ultima versione lo indicava in Polonia. Ma Kiev smentisce. Hanno provato anche con un missile nel giardino di casa, mentre dei sabotatori aspettavano fuori per finire il lavoro. Ma niente, Zelensky non si fa trovare. Secondo il New York Times solo questa settimana avrebbe subito tre agguati. Fonti del gabinetto di Kiev consultate da Avvenire confermano e parlano di «svariati tentativi» anche nei confronti di altri fedelissimi del presidente.
Difficile parlare di “colloqui di pace” in un clima da caccia al nemico. Tuttavia il negoziato dovrebbe ripartire già oggi, con le agenzie umanitarie Onu che fanno pressione per aprire veri e duraturi corridoi umanitari e non blande concessioni da offrire alla propaganda di Mosca. L’Alto commissario Onu per i rifugiati (Acnur-Unhcr), Filippo Grandi, è impegnato in un tour de force intorno ai confini ucraini per sostenere i piani di accoglienza e implorare che si smetta di colpire gli abitanti Mosca continua a spergiurare: «Nessun obiettivo civile è stato colpito».
Il cargo Helt, affondato nel Mar Nero al largo di Odessa, di proprietà estone, batteva bandiera di Panama. E' quanto si ricava dal sistema di tracciamento Marine Trafic che segnalava l'ultima posizione a circa 20 miglia dal porto ucraino, 03 marzo 2022. - ANSA/ www.marinetraffic.com
Quello che vediamo con i nostri occhi è il contrario. Come se, dopo avere disarticolato i centri di comando militare, ora lo stato maggiore dell’armata russa cercasse una Siria alle porte di casa. Secondo le autorità della regione di Kharkiv «oltre duemila persone sono state uccise, e tra questi più di cento bambini sono morti o feriti». Altri edifici vengono distrutti, tra cui «scuole, centri culturali e università».
A sud, lungo la strada per Odessa non serve neanche cercare nell’orizzonte le colonne di fumo per capire cosa stia accadendo. Scappano in tanti. Molti non sanno neanche verso dove. Vorrebbero andare in Moldavia, ma devono evitare di finire nella tana della mafia russa a Tiraspol, capitale della Transnistria, la repubblica separatista tra Moldavia e Ucraina. Un corridoio della paura che può essere attaccato da terra e dal mare. Le fregate di Mosca controllano l’ingresso nel porto della città. C’è chi giura che là sotto, da qualche parte, ci siano anche i sommergibili con le loro batterie di missili pronte a colpire. Le navi militari della Nato presidiano la scena, ma non possono fare nulla.
E allora questa guerra, antica e nuova come mai negli ultimi decenni, diventa una guerra di astuzie, anche a costo di rovinare per sempre i litorali più belli. Nei cantieri militari navali di Odessa i vascelli ucraini in riparazione o in manutenzione subiscono l’eutanasia per ostacolare l’invasione. Le porte stagne vengono aperte e la stiva allagata. Giacciono piegate su un fianco, come paratie d’acciaio che proveranno a fermare il nemico e che al nemico non si consegneranno.
Le Nazioni Unite intanto provano a registrare il numero esatto delle vittime. Ma anche ieri hanno do
La popolazione in fuga da Odessa - Ansa
vuto allargare le braccia: non c’è modo di sapere quanti siano stati fino ad ora i morti. Dalle 4 del mattino del 24 febbraio fino al 2 marzo 2022, l’Ufficio Onu per i diritti umani (Ohchr) ha registrato 802 civili colpiti. «Ma il costo umano degli scontri in corso è probabilmente molto più alto – precisano i funzionari –, poiché gli ostacoli all’accesso e le condizioni di insicurezza rendono difficile verificarne il numero effettivo». La mappa del campo di battaglia si estende. I principali centri urbani come Kharkiv (est), Kherson (sud), Mariupol (sud-est) e la capitale Kiev, sono stati testimoni degli scontri più intensi dall’inizio dell’offensiva militare russa. Gli insediamenti lungo la «linea di contatto» negli oblast, l’equivalente delle nostre regioni, di Donetska e Luhanska, come Volnovakha, Shchastia e Stanytsia Luhanska, sono stati pesantemente colpiti.
Odessa viene intanto protetta da diversi anelli di barricate e trincee. «I russi potranno anche spazzarci via con i loro missili, ma poi dovranno entrare in città, e non sarà una passeggiata», dice Marjo mentre ci indica di non salire sui lastroni di cemento che con altri residenti sta disponendo sulle principali vie d’accesso. Hanno nascosto mine e altri ordigni tra gli strati del calcestruzzo: «È il nostro modo di combattere anche quando saremo morti».
Non sarà facile sbarazzarsi di gente così. Noi a preoccuparci della maestosa scalinata Potemkin, porta d’accesso dal mare e testimone della spietata mattanza contro i civili al tempo dei cosacchi dello zar, e loro a infischiarsene quasi rievocando l’epica battuta di Paolo Villaggio, che oggi qui suonerebbe come un inno di battaglia. «La ricostruiremo – dicono – anche più bella di prima, ma li rimanderemo casa e stavolta sulla scalinata saranno loro a morire».
La stazione è presa d’assalto. Le donne, i bambini, gli anziani, se ne vanno. Non tutti. Ci sono vecchi pescatori che sarebbero disposti a combattere a colpi di pagaia piuttosto che andarsene senza fiatare. Poco lontano continuano a bombardare. Un po’ per assestare le posizioni, un po’ per far sentire che stanno arrivando. Come a Kiev. Le forze russe sono ancora a 25 chilometri a nord dal centro, mentre si trovano ad una decina di chilometri dal centro di Chernihiv e Kharkiv. Quando arriveranno in queste ultime, troveranno le città semidistrutte dai loro missili. I satelliti Usa dicono che Kherson è stata effettivamente presa, mentre si combatte a oriente di Odessa, a Mykolaiv e Mariupol.
«Osserviamo che le forze russe continuano ad avanzare su Mariupol – dicono le fonti Usa – ma non crediamo che siano ancora entrati, ci sono ovviamente bombardamenti». Con città sotto assedio, scuole, ospedali ed edifici civili bombardati quella ai danni dell’Ucraina è «la peggiore aggressione in Europa da decenni», ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.
Il bollettino di guerra somiglia sempre più a quello di una mattanza tutt’altro che vicina al termine. Ad ogni ora che passa aumenta la potenza di fuoco e si moltiplicano i centri posti sotto attacco. Mentre da Kiev – dove ieri sera sono riprese le esplosioni – a Leopoli le sirene suonano fin dall’alba, nel resto dell’Ucraina non c’è un solo luogo in cui trovare un riparo sicuro e alla larga dal fuoco incrociato.
Se Odessa cadrà, la Moldavia tracimerà in Romania. Molti stanno già allontanandosi, temendo di finire nel piatto di Putin. Conquistata Odessa, non servirà neanche una forza d’urto per prendersi un Paese di 3,5 milioni di abitanti, meno della popolazione dell’intera Kiev. Posizionando i soldati di Mosca sulla frontiera della Romania, in quell’area il Paese più esterno della Nato e dell’Unione Europea. La forza armata civile di Odessa sa bene che dovrà resistere per sé e per l’Europa. Nessuno si illude che una città di pescatori del Mar Nero possa da sola respingere le armate di terra e quelle di mare della seconda potenza militare mondiale. «Combatteremo, ma preghiamo che anche stavolta, come nel 1905, ci sia qualcuno disposto ad ammutinarsi a bordo delle nuove corazzate Potemkin. La nuova scalinata la dedicheremo a loro».