venerdì 4 marzo 2011
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Sono diventate delle gocce sparse e defluiscono molto lentamente. È come se il rubinetto dell’esodo fosse stato chiuso. Sfollati non ce ne sono quasi più in attesa sull’attenti come acciughe, sotto il sole che cuoce, al confine della Libia che s’affaccia sulla Tunisia di Ras Jedir. Si sono fatti rari i disperati che si inoltrano nell’enorme, fatiscente e sporco, dalle precarie condizioni igieniche, “accampamento nomade” di Ras Jedir, per prendersi un pezzo di terra dove coricarsi, trascinando le loro enormi case-valigia di plastica.La notizia ci viene “perfezionata” dopo un contatto telefonico avuto con un gruppo di giornalisti occidentali che le autorità di Tripoli, proprio ieri, ha intruppato fino a quel margine di Tripolitania, per far sapere loro che la situazione nella Libia occidentale è sotto il controllo del Colonnello Gheddafi. La comunicazione telefonica avuta con uno di questi colleghi, raggiunto nella trincea libica, diceva: «Al posto di frontiera libico ci sono più giornalisti che gente che cerca di uscire dal Paese». Si è esaurito il flusso? I cento e più mila di cui si parlava in questi giorni di forte preoccupazione per la minaccia di una grave crisi umanitaria, sono svaniti? Sono stati deviati su qualche altro percorso e dove? Sono stati nascosti? La Libia è un Paese vietato. Lo è per chi sta in Tunisia ed è altresì “impacchettato” come un tour, dove tutto compreso, per chi ci lavora a contatto con i funzionari di Stato.Ma se la frontiera si è “fermata”, nel campo dove tutto è improvvisato e provvisorio dei disperati di Ras Jedir ci sono più di 20 mila sfollati, secondo fonti umanitarie. Accampati dove capita, a ridosso di muretti, con le valigie che fanno da casa, dove una coperta diventa un tetto. A migliaia sotto le fronde degli eucalipti che vengono sterminati per accendere i fuochi che scaldano notti che sono gelate. Ancora, con il ripetersi delle grida di allarme di una crisi umanitaria, non c’è un solo gabinetto chimico.A Tunisi ieri sera era atteso il team avanzato, il gruppo interministeriale italiano, che dovrà preparare la fase operativa alla missione “Casa Italia” che contribuirà al rimpatrio degli sfollati nei paesi di provenienza. “Campo Italia”, se, nel frattempo, resteranno ancora sfollati da assistere, dovrebbe sorgere a Shusha, a sette chilometri dal confine con la Libia, accanto a una tendopoli dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati che garantisce assistenza già a 10 mila sfollati. Per le fasi di transito. A Ras Jedir e a Shusha sono sterminate le file di persone che attendono il loro turno per essere evacuate. Decine e decine di autobus fanno la spola con il loro carico di dolente umanità. Dal confine, prima raggiungeranno Shusha, per andare a riempire i vuoti lasciati da chi, con lo stesso sistema, dopo la registrazione e le visite mediche, è trasferito verso l’aeroporto di Djerba e il porto di Zarzis. In attesa di partire definitivamente.La Germania ha annunciato l’invio di tre navi da guerra per trasferire in Egitto 4.000 persone, mentre le operazioni, cominciate ieri, dei militari francesi per l’evacuazione di circa 5.000 egiziani bloccati alla frontiera della Tunisia dureranno fino a lunedì: il ponte aereo dell’aeronautica militare consentirà il rimpatrio di poco oltre 1000 persone per giorno.Secondo il colonnello Malik Mihoub, della Protezione civile tunisina, sono state circa 86.500 le persone che hanno attraversato la frontiera di Ras Jedir dopo il 20 febbraio, di cui 38 mila egiziani. Ma a Ras Jedir ancora circa 20, 25 mila persone aspettano di essere registrate, per poi essere evacuate. Intanto per loro non resta che attendere cercando un angolo, un riparo di fortuna, sui marciapiedi e nei campi di Ras Jedir. L’Organizzazione mondiale della sanità lancia l’allarme epidemie se non si interverrà subito, viste le condizioni igieniche e sanitarie dove ancora sono costretti gli sfollati dalla Libia. Il tempo passa e la macchina dell’emergenza sembra ancora in ritardo.
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