venerdì 3 settembre 2010
"Allagamenti guidati" hanno sommerso altri quattro villaggi cristiani. Il caso della comunità cristiana di Khokharabad non è isolato. Il flusso delle inondazioni è stato deviato con dighe e sbarramenti su Mirpur Bathoro, Jati, Dharo e Laiqpur per salvare le terre dei latifondisti. Distrutte le case di 2.800 famiglie. Caritas: le zone abitate dai meno abbienti, di qualunque fede, sono dimenticate.
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Non è un’eccezione, accade durante tutti i cataclismi naturali: i poveri diventano bersagli privilegiati. È quasi implicito, chi ha meno risorse ha maggiori difficoltà a proteggersi dalla furia della natura. Le “inondazioni guidate” – che si consumano nel Pakistan sconvolto dalle alluvioni – sono, però, qualcosa di ben più crudele.Il “sacrificio” dei deboli qui non è il drammatico effetto collaterale della catastrofe ma una strategia deliberata per difendere i forti. I potenti latifondisti – con la complicità di qualche funzionario “compiacente” – fanno costruire dighe e sbarramenti per proteggere i loro possedimenti dalle violente alluvioni, che vanno avanti da un mese. L’acqua dei fiumi in eccesso viene deviata sui villaggi più miseri e sperduti, abitati da contadini indifesi, spesso appartenenti a minoranze religiose. La distruzione pianificata di Khokharabad – popolato da cristiani, da sempre oggetto di discriminazioni e abusi – non è un caso isolato. Dopo la denuncia di tre giorni fa, dell’Agenzia Fides, sono emersi altri agghiaccianti episodi. Ad almeno altri quattro villaggi del Sindh – Mirpur Bathoro, Jati, Dharo, Laiqpur, i cui residenti sono in prevalenza cristiani o indù – è toccata la stessa sorte. Le 2.800 famiglie – secondo quanto riferisce Fides – hanno ricevuto dalle autorità civili l’ordine di sgombero immediato. Hanno fatto appena in tempo a improvvisare un fagotto. Poi, è arrivata l’acqua. Violenta, devastante. Le modeste case sono state ridotte a un ammasso di assi di legno. Uno scempio creato artificialmente – secondo le testimonianze – per salvare i latifondi vicini. «Ancora una volta la forza dei potenti schiaccia i poveri», ha dichiarato il capo del villaggio di Jati. «Vi sono personaggi influenti che hanno contatti col governo o sono presenti nei partiti politici: i loro territori hanno la “priorità” di essere salvati dalle alluvioni – ha dichiarato Dominic Gill, segretario della Caritas di Karachi –. I villaggi dei poveri, siano essi musulmani, cristiani o indù, sono invece abbandonati a se stessi». A confermare questo agghiacciante sistema è l’ambasciatore pachistano all’Onu Abdullah Hussain Harron che alla Bbc ha dichiarato: «Vi sarebbero prove che i proprietari terrieri hanno fatto costruire barriere» per difendere i loro possedimenti. A questo orrore, si aggiunge quello della discriminazione delle minoranze religiose nei soccorsi. «A Kot-Adu, Leia e Rang Pura, nel Sindh – secondo quanto racconta ad Avvenire, Shahid Mobeen, della Pontificia Università Lateranense, citando fonti locali –, i cristiani sono sistematicamente esclusi dalla consegna di cibo e acqua, col pretesto che gli aiuti provengono dai mullah o sono stati acquistati con la “zakat”, l’elemosina prevista per ogni buon musulmano dal Corano. Lo stesso accade ad Hassan Abadal e Jacoabad, nel centro-Nord, nei confronti di sikh e indù». Nei campi profughi allestiti dal governo a Muzafar Gard, vicino a Peshawar, Thatta e Jacobabad, nel Sindh, inoltre – afferma Mobeen – è impedito l’accesso ai non islamici. Cristiani e indù sarebbero rimasti senza rifugio se non fossero stati accolti negli accampamenti della Chiesa nazionale, in cui tutti – di qualunque fede – trovano assistenza.
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