Alexis Tsipras finisce sulla graticola al summit straordinario dei leader Ue. Vari partner rimproverano alla Grecia le migliaia di migranti che
attraversano la frontiera senza registrazione ed il fuoco che covava nella cenere si accende in una discussione sugli
hotspot. Ma è uno scambio costruttivo, che porta alla decisione di fissare una data certa per la loro attivazione.
"Entro fine novembre", spiega il presidente del consiglio Ue Donald Tusk.
L'Europa si ricompatta sulla necessità di riportare le sue frontiere esterne sotto controllo, dopo lo strappo con i Paesi dell'Est sui 120mila ricollocamenti. Il vertice apre la strada
ad un piano comune per far fronte alla peggiore crisi di
profughi dal dopoguerra.
Il premier Matteo Renzi parla di "notte
importante". E anche dai quattro premier (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania) che hanno votato contro il meccanismo di ridistribuzione e si sono visti imporre la decisione non ci sono state reazioni particolari. "L'atmosfera è stata migliore delle
mie attese. Sono soddisfatto", puntualizza il presidente della
Commissione Ue Jean Claude Juncker. E Tusk parla di "momento
simbolico" perché si è messo fine al "gioco rischioso del
biasimo reciproco".
Tra l'altro i quattro Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad
(Slovacchia, Rep. Ceca, Polonia e Ungheria) si sono presentati
alla riunione con una dichiarazione congiunta esprimendo, in
parte, i concetti delle conclusioni del vertice. Il summit si è riunito dopo che
Bruxelles ha aperto una quarantina di procedure di infrazione contro 19 Stati per mancanze nell'applicazione dei regolamenti sul sistema comune d'asilo (registrazioni, raccolta di impronte, accoglienza e rimpatri). L'Italia non è nel gruppo. E anche se l'Europa
insiste sulla necessità di applicare in pieno il
regolamento di
Dublino - come si ribadisce nella dichiarazione finale - il
premier Matteo Renzi sottolinea come un "passettino" dopo
l'altro
si stia andando "verso il suo superamento".
L'ondata più grande di profughi "deve ancora arrivare", dice
Tusk ed "è chiaro a tutti che non possiamo continuare come
prima" con "porte e finestre aperte", e si pensa alla creazione
di guardie di frontiera Ue.
Ma occorre anche sostegno economico ai Paesi del vicinato più
esposti alle crisi di Iraq e Siria, a partire dalla Turchia, il
cui
presidente Erdogan sarà a Bruxelles il 5 ottobre prossimo.
I fondi a disposizione però non bastano e Bruxelles ha
richiamato i partner comunitari a mettere sul piatto denaro
fresco, ottenendo riscontri positivi.
Ai Paesi si sono chiesti 500milioni di euro per il 'trust
fund' per la Siria (a cui l'Italia contribuisce con tre milioni
di euro e la Germania con cinque); 1,8 miliardi di euro per il
"Fondo per l'Africa"; ma anche che gli stanziamenti dei Paesi
("drasticamente ridotti" nel 2015) per le agenzie che si
occupano di rifugiati come il World food program e l'Unhcr
tornino ai livelli del 2014, fino ad un
miliardo di euro almeno.
Un confronto anche sulla situazione in Siria e in Libia.
Mogherini aggiorna i leader sullo stato dell'arte, anche in
vista della prossima assemblea generale dell'Onu dove si parlerà
di tutte le crisi aperte. "Qualsiasi strada possibile per
trovare una soluzione in Siria deve essere percorsa" afferma
Francois Hollande quando gli viene chiesto se Vladimir Putin può
avere un ruolo, e in una bilaterale col premier britannico David
Cameron si ipotizza che i voli di ricognizione possano essere
seguiti da attacchi. Per il premier bulgaro Bojko Borissov "solo
con la collaborazione di Stati Uniti e Russia si può risolvere
il conflitto". Questa "è la vera soluzione" anche alla crisi dei
profughi, spiega.
A dare un'idea della magnitudo del fenomeno che l'Europa si
potrebbe trovare ad affrontare nei prossimi mesi Tusk, che
reduce da viaggi in Turchia e Giordania, avverte: "Con
8 milioni
di sfollati in Siria, oggi parliamo di milioni di potenziali
rifugiati che cercano di raggiungere l'Europa. Siamo a un punto
critico".
Per la cancelliera tedesca
Angela Merkel "si sono fatti passi
avanti verso una soluzione"; il premier Cameron assicura che il
Regno Unito "lavorerà con i partner Ue per mitigare il
conflitto" in Siria ed offre altri cento milioni di sterline per
la crisi dei profughi.
I mal di pancia per la decisione sui ricollocamenti restano
sullo sfondo. Hollande schiaffeggia i 'ribellì: "L'Europa è
costituita da principi, e chi non li rispetta deve porsi la
domanda sulla sua presenza in seno all'Ue". Il più duro è il
premier slovacco Robert Fico, che ha già annunciato
ufficialmente di volere procedere legalmente contro il
provvedimento. Il primo ministro ceco Bohuslav Sobotka si
dissocia: nonostante i malumori preferisce "non accrescere le
tensioni". L'ungherese
Viktor Orban, stufo di essere additato
come "l'europeo cattivo", invita Merkel a non fare esercizi di
"moralismo imperialista". E non rinuncia a uno scambio di
battute "energetico e sostanziale" con il collega
austriaco.